Alla ricorrenza precisa mancano un paio di mesi. Era infatti il 9 maggio del 1950, settant’anni fa, quando il ministro degli esteri francese Robert Schuman pronunciò, nella Sala dell’orologio del Quai d’Orsay (la Farnesina d’Oltralpe), il discorso che apriva la strada al processo di unificazione europea. In quell’intervento, ad appena cinque anni dalla conclusione della seconda guerra mondiale, era contenuta la storica “Dichiarazione” che annunciava la messa in comune tra Francia e Germania, subito affiancate da Italia e Benelux, della produzione di acciaio e carbone. Un progetto attuato l’anno successivo con la nascita della Ceca, Comunità europea del carbone e dell’acciaio.
Con qualche settimana di anticipo, una prima “memoria condivisa” di quell’evento fondativo si terrà in alcuni dei 27 Paesi, in raduni pubblici dove il Covid–19 lo consentirà o su piazze telematiche, per impulso di “One hour for Europe” (Un’ora per l’Europa). È questa un’iniziativa lanciata per la prima volta l’anno scorso, in vista delle elezioni di maggio dell’Europarlamento, per sensibilizzare sull’importanza del voto. Partita in sordina, con appena 8 città di 4 Stati coinvolte, è decollata poi a fine settembre toccando 23 località di 10 nazioni, per mettere a tema l’emergenza ambientale.
Tra le 17 e le 18 di sabato prossimo, dunque, gruppi di cittadini dell’Unione, in larga prevalenza giovani, discuteranno delle origini della Ue a partire dal Manifesto di Ventotene, ma soffermandosi in particolare sulla Dichiarazione Schuman. Questo il link per informarsi, aderire e partecipare: https://onehourforeurope.wordpress.com/join–us/ (hashtag twitter e istagram: #70Schuman e @Schuman). Conforta che, sia pure a fatica e in mezzo allo scetticismo generale, ci sia ancora chi spinge “dal basso” e su base volontaria, per diffondere le buone ragioni della causa europea. Tra l’altro, a dispetto di chi pensa che ormai in Italia prevalgano delusi e avversari, in entrambe le due prime edizioni della manifestazione le piazze della Penisola sono state di gran lunga le più numerose.
Ma consola e incoraggia anche il fatto che giovani euroentusiasti vogliano tornare alle origini della costruzione che oggi li vede protagonisti. Rileggendo il testo della Dichiarazione di 70 anni fa, potranno riflettere, fra l’altro, su considerazioni come questa: «L’Europa non potrà farsi in una sola volta, né sarà costruita tutta insieme; essa sorgerà da realizzazioni concrete che creino anzitutto una solidarietà di fatto». Una professione di umiltà e di realismo da parte di uno dei padri fondatori, ma anche uno sprone nei confronti delle generazioni future.
Robert Schuman nel suo discorso definì pure la costituzione della Comunità per carbone e acciaio come «la prima tappa della Federazione europea», destinata a cambiare il destino di regioni «che per lungo tempo si sono dedicate alla fabbricazione di strumenti bellici di cui più costantemente sono state le vittime». Una profezia in buona parte compiuta, mentre resta quasi tutto da realizzare un altro «dei suoi compiti essenziali: lo sviluppo del continente africano». Ebbene sì, fin dalle origini l’Europa veniva pensata da chi la volle come fonte di pace e di progresso non solo per se stessa, ma per tutti i popoli, senza egoismi né esclusivismi.
È stato anche per questo, oltre che per una vita da cristiano e politico esemplare, che il 9 giugno del 1990 l’allora vescovo di Metz, Pierre Raffin, aprì il processo canonico per la beatificazione del servo di Dio Robert Schuman, concluso a livello diocesano nel 2004 e da allora allo studio della Congregazione per le cause dei santi in Vaticano. Esattamente 30 anni fa: un altro anniversario che merita un ricordo.
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