Ho reagito con soddisfazione quasi paterna all'annuncio che Carlo Ancelotti da Reggello, classe 1959, sarà da luglio il nuovo allenatore del Bayern di Monaco. Con tanto che si dice dei club inglesi e soprattutto di Barcellona e Real, resta intatto il primato continentale – e perché no mondiale – della squadra tedesca che nutre la sua nazionale come la Juventus in Italia. Ancelotti, detto anche il Sor Carlo, alto fascino calcistico in veste bucolica, è Mister Record avendo gestito grandi squadre vittoriose in Italia, Inghilterra, Francia e Spagna: Milan, Chelsea, Paris Saint-Germain, Real, oggi Bayern... l'aristocrazia d'Europa. Non cito la Juve, i cui fedelissimi lo derisero, bontà loro. Quando aveva vent'anni e giocava nel Parma, nel 1979, in Serie B, gli consegnai un premio che avevo creato proprio per snidare i giovani talenti e i loro maestri, il “Guerin d'oro”; per l'occasione – fine campionato, estate alle porte – il tecnico premiato, Nils Liedholm, mi chiese di poterlo avere al tavolo: «Vorrei conoscerlo, dicono che è molto bravo». A fine serata Carlo era della Roma e s'avviava verso una carriera prestigiosa da calciatore e da tecnico. Oggi è il Maestro dei Maestri, può sedersi fra i Grandi Vecchi come Trapattoni e Capello e Lippi, accanto a Mourinho, pronto ad accogliere nel consesso il Sor Claudio Ranieri da Testaccio, attuale leader della Premier (con il suo piccolo grande Leicester), sorpresa delle sorprese soprattutto per chi lo dava per tramontato dopo la non felice esperienza greca e le amarezze colte fra la Juve, l'Inter e la Roma. Ranieri ha in comune con Ancelotti una notevole caratura umana, tipica dei maestri che aiutano tanti giovani a crescere in un mondo non facile, pieno di insidie, dominato dal business piuttosto che da altre virtù che potrebbero dirsi amicizia, solidarietà, impegno e competenza. È oggi una scuola ricchissima di professionisti talentuosi più che di maghi (di normal-one più che di special-one) quella italiana dove si collocano gli allievi di Galeone: Allegri che cerca il quinto scudetto di fila con la Juve, il suo secondo personale; il traghettatore storico del Genoa Gasperini; il Donadoni ritrovato di Bologna dopo la dura emergenza di Parma; mastro Sarri rivoluzionario silenzioso a Napoli; e l'incredibile Giampaolo, finalmente capace di dominare i propri umori così come sa gestire l'Empoli, suo ultimo laboratorio. Anche se l'occasione non è delle migliori, vista la sconfitta appena incassata, fra tutti questi tecnici di qualità ha un posto specifico Roberto Mancini, forse il primo “europeo” convinto, mentre Vialli ci provava senza insistere. E in un'occasione come questa, rara pagina felice scritta in un romanzo d'appendice spesso dato alla noia e agli scandali, un doveroso ricordo per il primo tecnico italiano che scelse la legione straniera, Enzo Ferrari, ex giocatore dell'Udinese che nell'84 allenò il Real Saragozza. Un amico degli anni Sessanta, quando entrambi eravamo in C, lui giocatore del Forlì, io cronista di “Stadio”. Ma questa è un'altra storia...
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