Un’antica leggenda persiana racconta la storia di tre principi, figli di Jafer, re di Serendip (antico nome di Ceylon, attuale Sri–Lanka), che nel loro viaggio alla scoperta del mondo trovano, per caso e per intuito, cose che non stavano cercando: piante, animali, pietre preziose e oggetti sconosciuti. Da lì è nato il termine “serendipity”. La traduzione in italiano, serendipità, suona male ma è un vocabolo che anche secondo la Treccani significa «la capacità o fortuna di fare senza volerlo scoperte inattese, soprattutto in campo scientifico, mentre si sta cercando altro». Oltre all’America, per esempio, sono state scoperte per caso la penicillina, i raggi X, il forno a micro onde e il cellophane. Ma più prosaicamente anche l’aspartame, la Coca–Cola, il gorgonzola e l’insalata russa. Quando pensi che tutto sia scontato o inevitabile, può sempre succedere qualcosa che risulta tutt’altro che prevedibile. E meno male. Mi chiedo infatti come vivremmo se fossimo tutti capaci di ragionare come Einstein, scrivere come Dante, dirigere un film come Spielberg, guidare come Hamilton, o ballare come Bolle. Se cioè, facendo un certo gesto distinguente e nel quale siamo bravissimi, tutto andasse sempre a finire esattamente come vogliamo. Sarebbero soddisfazioni, ma sarebbe quello che non è. Sarebbe, soprattutto, molto noioso.
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