Dacci oggi il nostro pane quotidiano. Con il mio mestiere di poeta, il mangiare è stato estremamente vario. Da pranzi ridondanti ed anche un po' ripetitivi, di qualche hotel a cinque stelle, al mio rifocillo gioioso e privato. A volte, me la cavo con due etti di mortadella, le cui fette tonde e distese, fresche e variopinte, fanno pensare ad un giardino dalle aiuole fiorite. La solita bottiglia di barbera, con il suo nero e la sua verticalità, è un bell'esempio di simbolo monumentale. Né voglio dimenticare i tre panini fragranti, immobili come chiare tartarughe contemplative. Questo il menù per i miei 100 kg corporali. Pur essendo venuto al mondo nella ricchissima Milano, per contro ne ho viste e sentite di tutti i colori. Durante la guerra, ad esempio, intorno alle cascine c'era chi apprezzava le carni succulente dei topi, che riuscivano a infilarsi nei già saccheggiati granai. C'è di più, o di meno, se riferisco di bambini, tutti nostrani, non vi era alcuna immigrazione, che, per ridurre la propria anemia, spontaneamente, perché il corpo ha una sua saggezza, succhiavano vecchi chiodi arrugginiti, tolti dalle travi delle soffitte. Altri bimbi raschiavano i muri calcinati delle case per trangugiare il calcio di cui mancavano. Sto parlando di Milano e di notizie che notizia non fanno.
© Riproduzione riservata
ARGOMENTI: