La magistratura suscita sempre attenzione mediatica, specie quando si tratta di cattive notizie: anche in questi giorni, le cronache riportano squallidi spaccati di presunti comportamenti estorsivi, aventi come autori magistrati di differenti giurisdizioni e come vittime, ma incredibilmente arrendevoli, corsiste e corsisti aspiranti a tali professioni. Minore attenzione destano le buone notizie, anche quando sono importanti, com'è il caso della recente decisione della Corte di giustizia Ue sul cosiddetto caso Taricco-II. In questa rubrica ci eravamo già occupati dei precedenti della vicenda, così sintetizzabili: un certo articolo del Trattato Ue che, come interpretato dal giudice europeo nel caso Taricco-I, obbliga il giudice italiano a disapplicare la legislazione nazionale sulla prescrizione dei reati, è compatibile con il principio di legalità in materia penale?
A sollecitare la Corte di giustizia era stata (mediante "rinvio pregiudiziale", chiedendo al giudice di Lussemburgo di pronunciarsi sulla validità e sull'interpretazione del diritto eurounitario) la Corte costituzionale, a sua volta chiamata in causa da decisioni della Corte d'appello di Milano e della Cassazione. Il giudice europeo, nel confermare l'obbligatoria disapplicazione, da parte del giudice nazionale, delle disposizioni interne sulla prescrizione quando queste impediscano sanzioni effettive in un numero considerevole di frodi gravi, ha escluso da tale obbligo i casi nei quali da tale disapplicazione derivi una violazione del principio di legalità a causa dell'insufficiente determinatezza della legge applicabile o dell'applicazione retroattiva di una normativa più severa.
Così la Corte di giustizia ha dimostrato di avere ben compreso le peculiarità del nostro ordinamento costituzionale, evitando di contrapporre la singola identità costituzionale alla costruzione di un ordinamento europeo forte e autorevole. Per converso, è una buona pagina per la magistratura italiana, che ha mostrato di sapere tenere una posizione dialogica e al tempo stesso saldamente ancorata ai princìpi costituzionali, tra i quali spicca quello di legalità dei reati e delle pene, inteso come prevedibilità, determinatezza e irretroattività della legge penale applicabile.
Ora la parola passa al legislatore chiamato a garantire, per il futuro, che le regole nazionali sulla prescrizione, in caso di gravi frodi in materia di Iva, non portino all'impunità o non siano più severe quando la frode leda gli interessi finanziari dello Stato membro rispetto a quando siano lesi quelli dell'Ue. Dunque la partita non è finita, ma è possibile considerare la vicenda come una boccata di ossigeno in mezzo a tanta desolazione.
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