Ancora lui, 24 anni dopo l'esordio in un Mondiale. Valentino Rossi è ancora lì, accucciato sulla sua moto, a 41 anni suonati, con la faccia da monello. Domenica in Spagna ha ricominciato a piegarsi sulle curve, dimostrando che non è obbligatorio vincere per insegnare qualcosa, ma è indispensabile restare in sella e crederci per lasciare qualcosa dietro di sé. Per questo ancora oggi piace a tutti, dagli sbarbati ai cinquantenni adoranti, "fidanzato" segreto di mamme rapite dal suo sorriso e con un rimpianto di libertà tra i capelli, ma anche nipote ideale di nonni con la velocità nelle rughe. Da maturo bambino infinito, in questi ultimi anni ha imparato cosa vuol dire arrancare, malgrado un cognome da prima fila. Non vincere più, non funzionare più. Poteva dire basta, ritirarsi da ricco, felice (chissà, questo solo lui può dirlo), di certo appagato da una storia sportiva ripetibile da nessuno. Grande tentazione, ma non per lui. È un privilegiato Valentino, certo. Può concedersi il mestiere che gli piace. Ma per continuare a farlo deve mettere la freccia e superare gli autunni, con la voglia, il coraggio e l'entusiasmo che tutti vorremmo avere e magari non abbiamo, impauriti dalle nostre curve personali, disillusi da un asfalto freddo e insidioso, contagiati dal disimpegno imperante che fa smarrire la pista, il senso e il traguardo. Ma esistere, resistere e insistere si può.
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