giovedì 20 gennaio 2022
La prima cosa da imparare in campagna è il silenzio. Se arrivi dalla città, nel silenzio delle colline sprofondi, e quasi annaspi. È come un mare il silenzio, una creatura viva che ti cinge. Occorre non avere paura, rallentare il passo e il respiro, abbandonarsi. Come il mare, il silenzio ti tiene a galla, se ti ci affidi. Dimenticando la fretta, procedendo adagio, osservando, ti accorgi di come tutto sia vivo. I tronchi neri e scheletriti covano già, nascosti, il primo turgore delle gemme. E questa terra nera, dura e nuda, è un ventre colmo di germogli. Mi commuovono, sugli alberi spogli, i nidi abbandonati. Anche loro, cavi come mani di mendicanti, sembrano aspettare. Lo scricchiolio del ghiaccio sotto ai piedi è aspro, ostile, e sul muro del capanno sono rimaste le ultime rose: intatte, ma livide come fanciulle morte. Alzi gli occhi all'orizzonte cieco nella nebbia, che sembra dire: non c'è più alcun luogo in cui andare, non c'è alcun destino. Ma non bisogna crederci. Occorre, nell'inverno, stare molto attenti ai segni nascosti. Nella morte apparente la vita cova e attende. Bisogna lasciarsi affondare nel colmo del buio, il solstizio del 21 dicembre: quando infine prende a rialzarsi impercettibilmente il cammino del sole, che ordinerà di rinascere.
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