Se un evangelizzatore online chiede contributi in denaro
sabato 28 settembre 2024
Mi è capitato più di una volta di proporre all’attenzione dei lettori di questa rubrica gli account – in particolare il canale YouTube “Scherzi da prete” (shorturl.at/X4fuE) – di don Manuel Belli. Si tratta di un prete-insegnante bergamasco che pubblica online video di qualità: catechesi, commenti alle letture della messa, riflessioni su temi di attualità ecclesiale e all’occorrenza, sotto il titolo “Il parroco imbruttito”, quadretti di vita parrocchiale dipinta, con garbata ironia, dalla parte del clero. Quasi 47mila gli iscritti su YouTube, 30mila i follower di Instagram, ma volendo lo si può incontrare anche su Facebook (pagina omonima e profilo personale). Una sua recente iniziativa (13 settembre shorturl.at/Ajzg6) ha suscitato un piccolo maremoto. Con tutto il garbo che lo contraddistingue e con dovizia di motivazioni egli ha infatti aperto alla possibilità di abbonarsi al canale YouTube, con la doppia formula di “un caffè al mese”, 1,99 euro o, per i più disponibili, “una [pizza] margherita [da asporto] al mese”, 4,99 euro. Ha presentato con semplicità i piccoli investimenti (a cominciare da un modello più performante di smartphone) che la sua attività in Rete pretende con una certa urgenza, e si è anche inventato piccole e intelligenti forme con le quali ringraziare gli eventuali benefattori senza nulla togliere agli altri iscritti al canale, che – lo ribadisce di continuo – rimane gratuito. “L’ho fatta grossa” Ma accanto ai consensi e alle adesioni concrete al suo appello, è lo stesso don Belli a testimoniare che una quota di utenti non l’ha affatto presa bene. In un testo del 16 settembre sulla pagina Facebook (shorturl.at/bwYiQ) e poi in un nuovo, più lungo video del 21 settembre su YouTube, intitolato “L’ho fatta grossa”, racconta di varie e anche pesanti reazioni alla richiesta. Lui le riassume su due filoni: un prete non dovrebbe chiedere soldi per fare evangelizzazione; i contenuti aggiuntivi promessi agli abbonati (video di conferenze originariamente registrati a solo scopo di archivio; incontri mensili via Meet) discriminano i non abbonati. Più in dettaglio abbiamo: insulti vari, 500 abbandoni dell’account Instagram, accuse di causare la perdita della fede, telefonate assillanti in canonica, richiesta di esibire online la dichiarazione dei redditi o l’autorizzazione del vescovo. Un piccolo spaccato di pregiudizi su Chiesa e denaro (immancabile la battuta sull’esenzione degli immobili ecclesiastici dall’Imu) ai quali il presbitero replica dettagliando ancora di più le sue necessità più immediate: oltre allo smartphone, c’è anche da cambiare il notebook e serve una migliore connessione, per velocizzare il caricamento dei video. Viene persino precisato il budget, 2mila euro, che si prevede occorra per far fronte a queste urgenze, oltre a presentare qualche semplice argomento a favore della liceità, civile e canonica, di richiedere, in forma volontaria e a titolo di beneficenza, contributi a fronte di determinate spese. I dati? Valgono (e costano) più di un caffé L’episodio merita qualche considerazione. Non c’è bisogno, credo, di argomentare a favore della cosa in sé. La gran parte dei piccoli e meno piccoli siti e blog incentrati sull’informazione religiosa esibisce sull’home page, fin dalla nascita o quasi, i link attraverso i quali sostenerne con una donazione il lavoro, senza per questo alienarsi lettori o consensi. E anche chi fa formazione religiosa online, almeno da un certo livello in su, richiede un corrispettivo in denaro per i propri corsi. Infine in Paesi diversi dall’Italia vari profili di evangelizzatori digitali, assimilabili a quello di don Belli, hanno intrapreso la strada della commercializzazione di prodotti attinenti ai propri contenuti (libri e non solo), allo stesso scopo di finanziare la propria attività. Va d’altra parte ribadito che i costi ai quali si fa rifermento nella richiesta sono reali e anzi sono assolutamente contenuti: gli abbonamenti servono ad adeguare gli strumenti e non a remunerare lo youtuber. Si può tuttavia pensare che la quota di follower che ha reagito male all’iniziativa di don Belli appartenga alla categoria di chi è ancora convinto che la fruizione di contenuti online debba essere, e in molti casi ancora sia, gratuita. Sappiamo invece che ogni nostro accesso ai motori di ricerca, ai social, alle piattaforme di streaming audio o video, ai siti di info, di e-commerce o di turismo, anche quando non prevede un abbonamento, ci “costa”, volenti o nolenti, qualcosa in termini di dati personali. Il che è molto di più del “caffè” che potremmo offrire a “Scherzi da prete”. © riproduzione riservata
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