Per comprendere un Paese e un popolo, penetrando nel suo cuore, una fiction tv può valere più di un saggio di sociologia. Vale per “Squid Game” (sul nostro giornale ne ha scritto il 14/10 Andrea Fagioli nella rubrica “Schermaglie”), la serie coreana in lingua originale e sottotitoli proposta da Netflix, che pesca in tutto il mondo e a volte pesca bene. La vicenda dovrebbe essere nota: in un presente distopico, miserabili pieni di debiti accettano, per denaro, di giocare contro la morte per il sollazzo di pochissimi super ricchi. I quotidiani se ne sono occupati ma troppo poco, per il valore simbolico dell'evento. Perlopiù, come il “Fatto”, per denunciare come in Belgio (e in Italia...) i bambini evochino i giochi mortali, che poi sono giochi infantili, come “uno due stella”. Non è una fiction per bambini, ovvio; ma per gli adulti dovrebbe essere... obbligatoria. Sulla “Stampa”, Caterina Soffici ricorda le atmosfere del film pluripremiato “Parasite” e conclude: «Non ci sono buoni e cattivi (...), sono tutti cattivi (...). Quando il mondo è portato agli estremi, chi è talmente emarginato da non aver niente da perdere e chi è troppo ricco da non aver più alcun limite morale, le cose si mettono male. E si torna alla legge della giungla, dove vince il più disperato o quello con meno scrupoli. Questa non è fiction, è realtà. Questa realtà ci riguarda tutti, e forse è il motivo per cui così tanti milioni di persone nel mondo stanno guardando “Squid Game”». Soffici introduce un sospetto: ma allora “Squid Game” serve a farci capire non solo la Corea e l'Asia, ma anche l'Italia di oggi? Annota Massimo Gramellini (“Corriere”, 16/10): «Se a noi europei “Squid Game” appare caricaturale, è solo perché abbiamo ancora uno straccio di Stato Sociale». C'è poi un ulteriore livello di lettura, che per Aldo Grasso (“Corriere”, 14/10) sta nella «simbologia dei giochi infantili trasformati per l'occasione in giochi mortali. La vita diventa qualcosa che sembra non aver più alcuna consistenza, ma la cui funzione ludica crea la sua estrema, tragica “illusione di vita”». Pochi vincono, tutti sono distrutti.
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