Gerard Ernault, antico giornalista dell'Équipe, ha fatto sapere a amici, colleghi, lettori e appassionati che se n'è andato ai pascoli del cielo Jacques Ferran, il Grande Creatore di eventi calcistici. Aveva 98 anni e fino all'ultimo ha seguito e amato le sue creature: la Coppa dei Campioni, nata Coppa Europa nel 1948, quando Jacques lavorava all'Équipe, e diventata Champions League; il Pallone d'Oro, lanciato quand'era il leader di “France Football”, nel 1956. Non è vissuto di onori (anche se gli hanno assegnato la Légion d'honneur) ha lavorato tutta la vita fino a veder tornare il suo “Ballon d'Or” fra le braccia di “France Football” dopo l'iniquo passaggio in Casa Fifa.
Dico di Jacques perché sto dedicandomi agli ottavi di Champions che da stasera, con Roma-Porto, torneranno a dare peso e qualità al calcio europeo com'é purtroppo oggi, sorta di permanente Mercatone dei Piedi in cui si trattano contratti disattesi, valori presunti e bufale reali.
Dico di Jacques perché quando l'ho conosciuto, trentasei anni fa, a una cena in ricordo di Grace Kelly, a Montecarlo, ed ero seduto fra lui e il mitico Jean Borotra, uno dei Quattro Moschettieri del tennis francese, mi disse ch'era preoccupato del futuro della Coppa dei Campioni: «L'Uefa vuol farla tutta sua, con regole tutte sue contrarie alla tradizione». Il tempo ha dimostrato che le sue paure non erano astratte. Se l'aspettava, il cambiamento, me l'aspettavo anch'io. E mi spiacque che Platini - tre volte Ballon d'Or per generosità di Ferran - non avesse mosso un dito per salvare i “Campioni”, storici protagonisti di quel torneo, forse perché dominato dal Real Madrid, forse perché dal 1955 al 1993 i francesi non l'avevano mai vinto (Olympique-Milan 1-0).
Se ci fate caso, fra cronache radiotelevisive e cartacee, di questi tempi in Italia non si dibatte tanto sull'esito finale della Champions - inseguita da stasera fino al 13 marzo da sedici club, compresi Roma e Juventus - ma di quale squadra conquisterà il “quarto posto” per la prossima edizione. Non bastavano il secondo e il terzo a dequalificare il trofeo dalle Grandi Orecchie, ormai s'arriva verso la metà della classifica per “movimentare” gli affari. Un posto in Champions, insomma, non si nega a nessuno, come la speranza di vincerla, impresa riuscita anche a un modesto Chelsea di Roberto Di Matteo nel 2012. Impresa mai troppo ammirata.
Stasera si gioca dunque Roma-Porto, invocando un successo che ringalluzzisca non solo i giallorossi ma la stagione depressa dallo strapotere juventino; ma la lotta si fa dura - ammesso che Napoli e Inter continuino a reggere lo strascico alla Signora che dorimpoi chiamerò Divina, soprannome di Wanda Osiris - fra Milan, Roma, Lazio e Atalanta. Giuro che mi piacerebbe veder incoronata la Dea, l'unica squadra emozionante portata a livello di Grande Europa da Gasperini. Ha il gioco più “reale”, aggressivo come le consente la giovinezza dei suoi uomini guidati dal Papu Gomez che da bizzarro fromboliere s'è trasformato in leader. L'Atalanta ormai merita non solo applausi ma trofei. Per ora nazionali, poi si vedrà.
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