Viene poi in mente in queste sera, mentre stenti a addormentarti, che, nel caso, bisognerebbe avere pronti dei libri. Perché se d'improvviso ti senti male e vengono a prenderti, non hai tempo per preparare neanche due cose. Certo, se fossi molto grave non ti serviranno a niente; ma, se non andasse così male, se ti aspettasse una lunga degenza, dei libri ci vorrebbero assolutamente. E dunque – in realtà non credo capiterà proprio a me, ma, casomai – ho messo sul comodino tre libri, da portarmi via. Il primo è un giallo di Simenon, una delle cento storie del commissario Maigret, che torno a leggere e rileggere da quando ero ragazzina. Province del Nord francese immerse in vapori di nebbia, o livide, dolenti albe di malavita a Parigi. Mi piace la pietas del commissario, che non infierisce sui colpevoli, e ha misericordia degli ultimi. Lo leggo e cammino con lui per Parigi, o per i borghi della Normandia: letteralmente, li vedo. In ospedale mi porterei Maigret, come un amico. Poi vorrei invece una che mi è compagna dapprima, e poi irraggiungibile straniera. Etty Hillesum, “Diario” e “Lettere”. Una ragazza ebrea non credente, complicata, caotica, che nella Amsterdam invasa da nazisti diventa misteriosamente un'altra: e vuole dare «un tetto a Dio» nelle notti del lager, tra le compagne disperate. Cosa è successo a Etty? Io non lo capisco; eppure la sento accanto, una sorella maggiore andata molto lontano. Infine, “Il libro d'ore” di Rainer Maria Rilke – libro di preghiera, non di poesia. «Sii terra ora/ e canto della sera/ e patria/ che lui possa custodire...». Dove “lui” è Lui, e chi lo deve custodire in sé è chi legge. Da Rilke un augurio, un auspicio. Impossibile certo, assurdo. Ma chissà che, alla fine, per una grazia non si compia la metamorfosi che aspetti, invano, da una vita.
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