Se dobbiamo giudicare dalla Turandot il gioco è facile. Troppo coinvolgente, troppo bella anche all'orecchio dei profani l'opera incompiuta del grande Giacomo Puccini. Tante le scene corali che la rendono accessibile a tutti. Per non parlare del «Vincerò» (Nessun dorma) divenuto una sorta di inno nazionale. Nulla di meglio, dunque, della storia della Principessa austera in un'immaginaria Pechino d'altri tempi per avviare il pubblico indiscriminato al gusto della lirica. Bene, pertanto, ha fatto Rai 5 a portare anche in prima serata, mercoledì scorso, il ciclo di opere del Teatro alla Scala già in onda il mattino alle 10,00 dal 6 aprile per un mese dal lunedì al venerdì con uno spettacolo, appunto, anche il mercoledì alle 21,15 senza peraltro interruzioni pubblicitarie. L'edizione scelta della Turandot è poi quella particolarmente originale e suggestiva andata in scena nella primavera del 2015 per l'inaugurazione dell'Expo di Milano, con la direzione musicale di Riccardo Chailly e la regia di Nikolaus Lehnhoff. Tra l'altro con il finale non di Franco Alfano, che a suo tempo rimediò alla parte mancante per la morte di Puccini nel 1924, bensì con il completamento di Luciano Berio, che proprio sotto la bacchetta di Chailly vide la luce. Ma al di là della musica, che nell'opera resta sempre fondamentale e determinante, lo spettacolo offerto in quell'occasione alla Scala fu di assoluta eleganza figurativa, che solo all'inizio spiazza un po' per la modernità del Mandarino in tuba, guanti e frack di pelle e il coro con maschera, cappello alla Borsalino e cappottone. Ma poi, una volta entrati e coinvolti nell'ambientazione, resta solo lo stupore per una grande messinscena che anche la regia televisiva di Patrizia Carmine riesce a trasmettere nonostante i limiti della trasposizione in video che può avere anche poco a che fare con ciò che vedono e vivono gli spettatori in sala. La tv ha un proprio linguaggio, che va a sovrapporsi ai due che già segnano l'opera lirica (la musica e il teatro), ma solo così può arrivare al grande pubblico ed è bene ci arrivi perché il melodramma è una forma d'arte che ci appartiene, fa parte della nostra storia e della nostra cultura popolare.
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