A più di una settimana di distanza dall'evento, persiste nell'informazione ecclesiale digitale la discussione sul fatto che, durante la visita all'Università Roma Tre, papa Francesco, rispondendo a braccio alle domande degli studenti, non ha evocato il nome di Dio e di Gesù Cristo, cosa che peraltro accadeva nel testo ufficiale predisposto per quel dialogo e consegnato al rettore.
Sembra che il discorso pubblico su papa Francesco, al quale la Rete offre una tribuna di un'ampiezza e di una libertà fino a ieri impensabili, non smetta di scontare il dato originario del suo pontificato, cioè il fatto che egli sia stato eletto a motivo non della morte del predecessore, ma della sua rinuncia a esercitare il ministero petrino. Fin dall'annuncio, infatti, anche il racconto della visita di papa Bergoglio all'Università Roma Tre è stato posto in parallelo al ricordo della annullata visita di papa Ratzinger all'Università La Sapienza. Il fatto che quell'annullamento fu una delle manifestazioni del grave pregiudizio negativo che Benedetto XVI subì da parte dell'opinione pubblica “laica” deve aver suggerito di leggere la riuscita visita di Francesco come una riprova del pregiudizio positivo di cui egli godrebbe presso quella stessa opinione pubblica. Ma che comporta, secondo alcuni critici, il prezzo di una debole affermazione dell'identità cristiana.
Anche quest'ultimo, però, mi pare un pregiudizio. Il parallelo poteva piuttosto suggerire che la presenza in un dato luogo di un Papa – qualunque Papa: era su questa base che si era contestato l'invito della Sapienza a Benedetto XVI – in forma pubblica e riconoscibile, con tutti i segni del suo ministero ecclesiale, basta da sé a contestualizzare nel segno della fede nel Dio Uno e Trino qualsiasi parola egli dica. Compresi, nel caso di Francesco, i suoi famosi “buongiorno” e “buonasera”, e a maggior ragione se parla di dialogo contro la violenza, di verità, bontà e bellezza, di unità nella diversità, di accoglienza.
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