L'evocazione della “Mafia di San Gallo” appartiene ai luoghi comuni più ricorrenti nelle polemiche contro l'attuale pontificato condotte da siti e blog antimoderni anglofoni e italofoni. Al punto che, talvolta, basta la parola per gettare fango sui prelati che ne erano parte. È quanto fa, sulla base di una semplice assonanza richiamata da una reminiscenza letteraria, Benedetta De Vito, giornalista e scrittrice, nel suo ultimo post sul sito “Stilum Curiae” ( bit.ly/3tOiLf5 ). Con quel termine si allude a un piccolo gruppo di prelati attivi a cavallo tra secondo e terzo millennio, al quale, con innumerevoli sfumature e varianti, si addebitano, secondo uno schema di polarizzazione intraecclesiale, uno o più “complotti”: per condizionare la successione a Giovanni Paolo II, per impedire l'elezione di Benedetto XVI, per costringerlo successivamente a rinunciare al pontificato, per favorire l'elezione di Francesco in chiave di forte discontinuità con i predecessori. Molte fonti, alle quali attinge la neutra voce “Gruppo di San Gallo” di Wikipedia ( bit.ly/3DmxcKr ), hanno testimoniato e argomentato che tale gruppo informale, in cui rientravano anche i cardinali italiani Carlo Maria Martini e Achille Silvestrini, si incontrava a San Gallo, in Svizzera, «per scambiarsi liberamente idee su questioni ecclesiastiche»; che non è esistito nessun complotto; che quando il cardinal Godfried Danneels, che rientrava nel gruppo, lo definì nella sua biografia con il termine “mafia” lo fece «improvvidamente, ma scherzosamente» (così G. Brunelli su “Il Regno” bit.ly/3DnLY3n ). La funzionalità dell'idea di una “mafia” ecclesiastica alla logica complottista in cui si muovono sovente gli autori antimoderni è tale da renderli impermeabili ai dati di realtà. Ma non per questo è accettabile che si getti gratuitamente fango sulla memoria di uomini di Dio rivestiti di grandi responsabilità, il cui amore per la Chiesa e la cui lealtà ai Papi sotto i quali hanno servito sono indubitabili.
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