Avvenire ha già fatto il suo dovere. Non solo perché, sul proprio sito ( bit.ly/2lHGQUa ), ha tempestivamente affidato a Stefano Vecchia una biografia di Ruth Pfau nel 90° della nascita, ma anche perché nell'agosto 2017 un necrologio di Silvia Guzzetti ne aveva già raccontato, in mortem, la grande carità. Dunque, per i nostri lettori questa suora-medico dei lebbrosi, tedesca di nascita, pakistana d'adozione, non era ignota. Ma se non fosse stato per il doodle pubblicato da Google lunedì 9 settembre, quante altre testate, anche solo online, ne avrebbero parlato? Davvero i siti di Ansa, Messaggero, Repubblica, Corriere della Sera, Open, Wired, Messaggero Veneto, Libero Tecnologia, Meteo Web, Il Sussidiario, Il Post, Focus e SkyTg24 (mi accontento della lista di Google News) se ne sarebbero ricordati? Per i digitali immigrati e distratti, ricordo che i Google doodle sono i popolari disegni, talvolta animati, con i quali il motore di ricerca più potente del mondo crea, sull'home page, variazioni al proprio marchio «per celebrare festività, anniversari e le vite di artisti, innovatori e scienziati famosi» (così la pagina-archivio bit.ly/2kF5XGT ). Talvolta hanno carattere globale, più spesso regionale o locale. Ad esempio, quello su Ruth Pfau si è visto "solo" in Canada, parte dell'Europa, Israele, Pakistan, Vietnam, Australia e Nuova Zelanda. Dal 2000 in qua su Google sono comparsi 4mila doodle: non mi riesce, perlomeno in breve tempo, di estrarre dall'archivio disponibile in Rete, che è in ordine cronologico, qualche precedente di memoria di figure eminenti di forte ispirazione cristiana. Sta di fatto che l'improvvisa, postuma popolarità donata a Ruth Pfau dalla vetrina di Google conferma che, nelle nostre società secolari, il sistema dei media è in posizione tale che, a parte nuclei sempre più ristretti di aderenti o adepti, è probabile che la maggior parte delle persone apprenda la maggior parte di quello che sa di una religione e dei suoi testimoni dai media. Non è cosa di poco conto.
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