Scontro sull’Europa di Ventotene Quasi un esercizio di cultura woke
venerdì 21 marzo 2025
Caro Avvenire, come ben sa anche uno studente di scuola superiore, ogni testo va letto e valutato nel suo contesto storico-culturale. In caso contrario, si rischia di travisare o strumentalizzare qualsiasi scritto. Leggere un documento storico come se fosse stato pubblicato l’altro ieri può essere indice solo di ignoranza o di malafede. Amareggia aver visto una simile esibizione in modo “spettacolare” nel Parlamento italiano. Pietro Sangermani Caro Avvenire, da qualche anno va di moda citare il Manifesto di Ventotene, prima dimenticato per decenni, ma chi lo fa generalmente non lo ha mai letto. Altrimenti saprebbe quello che Giorgia Meloni ha mostrato alla Camera, ossia che era un inno al dirigismo socialista e statalista tutt’altro che liberale e democratico. In esso leggiamo pure dure critiche alla Chiesa cattolica, definita “naturale alleata dei regimi reazionari”, la quale tenta di estendere i suoi “tentacoli” sulla scuola e sull’ordinamento della famiglia. Non credo che l’Europa unita sia nata da questo né credo che De Gasperi ed Einaudi, autentici fautori dell’unità europea, nutrissero idee simili. Luca Pignataro Cari lettori, lascio spazio alla quasi integralità delle vostre lettere perché danno voce con grande chiarezza alle posizioni che stanno infuocando il dibattito politico di queste ore. Sul merito dei fatti ha scritto egregiamente ieri su “Avvenire” l’economista Vittorio Pelligra e ha fatto luce (evidenziando le influenze di Luigi Einaudi sulla genesi del Manifesto) Mario Leone, direttore dell’“Istituto di Studi Federalisti Altiero Spinelli”, intervistato da Luca Liverani. Non è emerso, concordo con lei, caro Pignataro, che uno dei documenti fondanti dell’europeismo contiene anche chiare venature laiciste, dovute sia all’impostazione culturale di alcuni suoi estensori sia al momento storico in cui, siamo nel 1941, la Chiesa aveva maggiore influenza temporale e la Santa Sede aveva da poco firmato i Patti Lateranensi con Mussolini. In questo senso, ha ragione anche lei, caro Sangermani, decontestualizzare strumentalmente singole affermazioni costituisce un errore. C’è però da rilevare che la Dichiarazione di Ventotene non è la Summa Theologiae di Tommaso d’Aquino o Il Capitale di Karl Marx, opere imponenti dalle quali scorporare una frase rappresenta impresa velleitaria. In poche pagine, ogni affermazione dovrebbe essere soppesata e certamente conta. Precisato questo, l’appello dal confino di Spinelli, Rossi e Colorni ha avuto un ruolo cruciale nel costruire lo spirito e il movimento federalista, alla base della concreta realizzazione della Comunità e poi dell’Unione europea. Per questo lasciano perplessi le parole pronunciate dalla premier alla Camera dei Deputati. Il dissenso sulla visione internazionalista e socialista di cui è permeato il Manifesto di Ventotene da parte della leader di Fratelli d’Italia è comprensibile e rientra ovviamente nella libera dialettica politica e intellettuale (per cui in Italia c’è ancora agibilità, come ha dimostrato il monologo, tutto a difesa del documento di Spinelli, tenuto su Rai Uno da Roberto Benigni la sera stessa dello scontro in Parlamento). È apparso fuori luogo il tono beffardo in un contesto istituzionale, con il solo intento di suscitare le ire dell’opposizione e distogliere l’attenzione dal dibattito sul riarmo continentale, insieme al rigetto esplicito di un’idea di Europa che sta al cuore di quel progetto, una federazione come baluardo di pace e di democrazia. L’elogio che del Manifesto di Ventotene ha fatto più volte il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, coglie quel nucleo centrale, spogliato degli aspetti caduchi e oggi certo superati. D’altra parte, su questo versante il metodo usato da Giorgia Meloni risulta per lei paradossale. Il suo intervento ha costituito di fatto un esercizio dell’aborrita critica woke, dove si pretende di cancellare un intero testo per la presenza di qualche dettaglio non in linea con i valori attuali, dimenticando le circostanze della sua composizione, soprattutto quando si tratta di un’opera oggettivamente significativa. Personalmente, pur comprendendoli, non ho apprezzato i toni complessivi che la discussione ha assunto. Banalizzare e irridere o monumentalizzare e stracciarsi le vesti non aiutano a suscitare vera attenzione e atteggiamenti autenticamente critici nei cittadini. Per concludere, cari lettori, oggi servirebbe un confronto costruttivo su quale Europa vogliamo o non vogliamo, su come costruirla realisticamente o individuare eventuali alternative per navigare questi tempi cupi, segnati da guerre e da attacchi alla concezione liberale della convivenza, che ormai bussano anche alle nostre porte. © riproduzione riservata
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