Dunque Schumacher non è un Superman. Gliene siamo grati. Soprattutto perché ce lo ha confermato (personalmente avevo puntato più sul suo cuore che sui suoi poteri fisici) senza timore di esser trattato da debole. Da donnicciola.
Già: quante volte s'è usato questo termine per descrivere deludenti prestazioni di un atleta, sconfitto sul piano fisico o su quello morale/ comportamentale/psicologico. Fra i sinonimi, femminuccia e coniglio (magari "bagnato", come disse velenoso l'Avvocato Agnelli riferendosi a Baggio). Scampoli di linguaggio politicamente scorretto che permangono nel dizionario sportivo non filtrato dall'Accademia della Crusca e soprattutto originato dalle dispute del Bar Sport. Ma vallo a dire a qualcuno, adesso, "donnicciola" o "femminuccia". Adesso che lo sport vede trionfante su tutti i fronti l'immagine della donna.
L'Olimpiade di Pechino ne ha dato un saggio universale, l'agonismo italiano segna ormai una supremazia femminile indiscussa. Non stendo elenchi che potrebbero allargarsi (con immagini ad hoc) a una paginata, mi basta ricordare le imprese di Federica Pellegrini, Alessia Filippi e Flavia Pennetta: le nuotatrici d'oro e questa tennista tutta grinta che ha conquistato i vertici del suo sport dominato da prodigiose eroine russe. spesso protagoniste dello Smart Set, più attrici/top model che atlete. Questa è la vera crescita dello sport italiano, promossa da una diversa attenzione verso le atlete, suscitata da un diverso ruolo che la donna ha nella nostra società.
Prima, si parlava di miracoli, come ai tempi di Novella Caligaris, la donna che cambiò il nuoto italiano fra i Sessanta e i Settanta, conquistando medaglie e record ma soprattutto affermando una personalità di ferro in un corpo di ragazza. La dialettica pungente era il suo secondo modo di porgere che l'avrebbe consacrata cronista e commentatrice tv professionalmente valida, non una bella statuina come certe atlete/vallette d'oggi. Il tutto - parliamo di una nuotatrice - vivendo controcorrente. «Prova a nuotare gli 800 stile, così starai zitta per 11 minuti», le disse un giorno un istruttore. Lei lo avrebbe zittito con un 8'52". Racconta Novella, tanto potente quanto minuta: «All'epoca dovevo lottare contro mezzi maschi, gente che usava il doping».
E questa è la più significativa evoluzione dello sport al femminile: sono sparite dalla scena certe eroine muscolose e baffute, dolorosamente costruite nei laboratori dei Paesi dell'Est che avevano bisogno di vincitrici a uso politico, incuranti dell'umiliazione della donna. La nuova, grande, umanissima libertà di sport ha prodotto anche una felice rivoluzione estetica che può essere tradita solo da eccessi di pinuppismo.
Resiste in Italia - fra gli obsoleti luoghi comuni della sfida sportiva fra maschi e femmine - solo la realistica battutaccia sul calcio «che non è sport per signorine», mentre lo è in assoluto negli States. Ci si chiede spesso perché: l'arcano sarà risolto solo quando le ragazzine italiane usciranno di casa col pallone sottobraccio per andare a giocare la partitella in un campetto, ai lati della strada, nel cortile della scuola, sognando di diventare il Totti, il Beckham e il Maldini che ancora non hanno.
P.S. Una nota personale. Ricordo Gianmaria Gazzaniga che se n'è andato. Un grande giornalista, uno straordinario uomo di Fede, un amico. Abbiamo lavorato insieme, sempre, in tutti i giornali che ho diretto. Era il mio modo di dirgli "bravo" e di volergli bene.
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