Osservi il piccolo Harold e viene subito da pensare a Rodari e alla sua idea della creatività capace di manipolare la realtà, di inventare le storie più incredibili, fare ipotesi e progetti o a Munari, all’invenzione libera e controcorrente insita nel segno. Harold è un bebè intraprendente, con una matita in mano sa fare prodigi, ghirigori, oggetti e personaggi così speciali da sorprendere lui stesso. Lo conosciamo dalla copertina di questo albo strepitoso scritto e illustrato nel 1955 da Crockett Johnson, Harold e la matita viola che, dopo vent’anni di assenza dalle librerie (la prima edizione italiana targata Einaudi ragazzi è del 2000) torna finalmente in Italia, in un’accurata edizione cartonata di grande formato nella traduzione di Sara Saorin; primo della fortunata serie realizzata dall’autore che Camelozampa pubblicherà a seguire nei prossimi mesi. Classe 1906, padre scozzese, madre tedesca, Crockett Johnson è stato uno dei più geniali fumettisti della modernità.
Studi di arte alla Cooper Union e poi alla New York University, passato attraverso diversi lavori, pubblicitario per Macy’s e direttore artistico di diverse riviste è approdato all’illustrazione per l’infanzia anche grazie alla moglie Ruth Krauss, pure lei autrice. La storia di Harold il bimbetto ritratto nella più pura semplicità delle linee, senza capelli e in pigiamino, il colore viola in mano come una bacchetta magica capace passo passo di dare vita a un mondo a propria misura, è unanimemente considerata un piccolo capolavoro. La metafora di quell’età fantastica che è la primissima infanzia, creatrice e onnipotente, immersa nel pensiero magico ed empirico che non mette limiti alla mescolanza di realtà e fantasia. Sperimentato il potere della sua matita viola di lasciare segni sulla pagina, Harold scopre che può anche andare oltre. Creare seduta stante tutto quel che gli occorre o ritiene utile mentre la storia avanza. Se vuole fare una passeggiata al chiaro di luna, ma la luna non c’è, ecco che se la disegna; per non rischiare di perdersi si traccia una strada tutta dritta. E quando pensa che occorra una foresta sul suo cammino, disegna una foresta piccola di un solo albero ancora per paura di perdersi o una barca per non annegare nell’oceano. Con l’immaginazione che guida la mano nel dare contorni alla narrazione Harold si inoltra da padrone nel mondo degli adulti, non senza timori, ruzzoloni e batticuori, per poi avvertire il bisogno di tornare sui propri passi nella tranquillizzante pace della propria cameretta con il lettino disegnato ad hoc. Dai 5 anni
Peggy e Maddie non hanno alcuna ragione per tormentare Wanda. Eppure lo fanno. La loro compagna di scuola è una bambina polacca, timorosa, taciturna e solitaria. Abita con il papà e un fratello nel quartiere più lontano e povero della città, dietro la casa di un tipo che passa per matto e mette paura a chiunque passi. Wanda Petronski - un cognome insolito e persino difficile da pronunciare così da inquietare il prossimo - non cambia mai vestito: ogni giorno lo stesso abitino blu sbiadito e stropicciato. E qui sta punto. Peggy, la ragazzina più ammirata in tutta la scuola e Maddie, la sua migliore amica, interessate al lato più esteriore delle persone e cioè a come si vestono, considerano Wanda una stracciona ed ecco un buona ragione per deriderla. Del resto ai loro occhi un colpa Wanda ce l’ha: dice di avere cento vestiti ben allineati nell’armadio. Che bugiarda.
La mattina Peggy e Maddie la aspettano, a volte a lungo, con un solo obiettivo, prenderla in giro. La circondano, la interrogano e la provocano, trattandola da pezzente, solo per metterla in imbarazzo. Indifferenti a quanta infelicità procura il loro comportamento, un gioco perfido e per loro divertente. In realtà Maddie quell’andazzo in cuor suo lo patisce ma lo sopporta e tace per non dispiacere all’amica e nel timore, contraddicendola, di diventare lei stessa lo zimbello di Peggy. Ma fino a quando riuscirà a ingoiare quel boccone così amaro? Fino a quando con il suo silenzio sarà complice del crudele sopruso? E poi perché Wanda insiste con quella storia dei cento vestiti? Scritto da Eleanor Estes nel 1944, I cento vestiti , pubblicato ora da Il Battello a Vapore ( 14 euro), ha vinto il Newbery Honor, prestigioso premio letterario per ragazzi. È tra i finalisti in lizza per il Premio Andersen 2020. Da non perdere la lettera ai lettori della figlia dell’autrice pubblicata nel libro che racconta come è nata questa storia. Una lettura consigliata in questo tempo di lontananza dai compagni di scuola, per riflettere su amicizia, invidie, prepotenze, bullismo, silenzi, infelicità e dignità di ogni persona. Dai 9 anni