Mentre scorrevano via gli ultimi giorni del 2020, sui vari social si sono viste fiorire battute di ogni tipo, alcune veramente esilaranti, per salutare la fine di un anno che a definirlo complicato gli si fa un complimento. Certo, forse sarebbe meglio aspettare a dare il benvenuto al 2021, memori dell'antico adagio secondo cui "il peggio non è mai morto" (una delle più belle battute di cui sopra non a caso diceva «prima di festeggiare l'anno nuovo, vorrei vederne il trailer»). Tuttavia ci sono pochi dubbi sul fatto che, nell'opinione collettiva, il 2020 appena finito resterà nella memoria come un vero e proprio annus horribilis.
E sì, è stato decisamente un "anno difficile", come lo ha definito Francesco lo scorso 30 dicembre. Ma ciò non toglie che non dobbiamo mai dimenticare «le tante, innumerevoli ragioni per cui ringraziare Dio e i nostri vicini». Perché se a volte «siamo forse tentati di vedere anzitutto ciò che non era possibile fare e ciò che ci mancava», questo non ci deve far distrarre dal bene che abbiamo ricevuto. Un saluto, un sorriso, un gesto gentile. Cose anche piccole, che lì per lì passano senza neppure farci caso, che non riteniamo importanti ma che magari ci hanno cambiato anche solamente un pezzo di giornata. E dunque, invece di imprecare per quanto può esserci di storto nella nostra vita – e qualcosa ci sarà sempre –, impariamo a ringraziare per il bene, anche quello che sembra piccolo, o insignificante, o perfino inutile. Dobbiamo, insomma, imparare la gratitudine, in senso cristiano, ha spiegato Francesco citando l'episodio evangelico di Gesù che incontra dieci lebbrosi e li guarisce: «Di quel gruppo solo uno, prima di andare dai sacerdoti, torna indietro a ringraziare Gesù e a lodare Dio per la grazia ricevuta. Solo uno, gli altri nove continuano la strada. E Gesù nota che quell'uomo era un samaritano, una specie di "eretico" per i giudei del tempo. Gesù commenta: "Non si è trovato nessuno che tornasse indietro a rendere gloria a Dio, all'infuori di questo straniero?"». È l'eterna differenza tra chi pensa che ogni cosa gli sia dovuta e chi «chi accoglie tutto come dono, come grazia». Tutti, di quel gruppo, erano ovviamente felici per essere guariti, ma uno solo «a gioia aggiunge gioia: oltre alla guarigione, si rallegra per l'avvenuto incontro con Gesù. Non solo è liberato dal male, ma possiede ora anche la certezza di essere amato».
La differenza è sostanziale. E certamente non è solo di facciata, in quanto «tu ringrazi, esprimi la certezza di essere amato. E questo è un passo grande: avere la certezza di essere amato. È la scoperta dell'amore come forza che regge il mondo. Dante direbbe: l'Amore "che move il sole e l'altre stelle". Non siamo più viandanti errabondi che vagano qua e là, no: abbiamo una casa, dimoriamo in Cristo, e da questa "dimora" contempliamo tutto il resto del mondo, ed esso ci appare infinitamente più bello. Siamo figli dell'amore, siamo fratelli dell'amore. Siamo uomini e donne di grazia».
Per questo motivo allora la preghiera che leviamo per ringraziare Dio comincia sempre «dal riconoscersi preceduti dalla grazia. Siamo stati pensati prima che imparassimo a pensare; siamo stati amati prima che imparassimo ad amare; siamo stati desiderati prima che nel nostro cuore spuntasse un desiderio. Se guardiamo la vita così, allora il "grazie" diventa il motivo conduttore delle nostre giornate. Tante volte dimentichiamo pure di dire "grazie"». Già. Tante, troppe volte. Ma nulla ci è dovuto, ricordiamolo. Ricordiamo piuttosto che «se siamo portatori di gratitudine, anche il mondo diventa migliore».
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