Europa e America alleate per la salute, in particolare per una strategia condivisa contro il cancro e i rischi di nuove future pandemie. È l’obiettivo della “task force” sanitaria Ue-Usa, lanciata nei giorni scorsi a Bruxelles, dopo un vertice fra la Commissaria europea Stella Kyriakides e il ministro statunitense Xavier Becerra. L’accordo prevede anche una più stretta collaborazione per migliorare l’”architettura sanitaria globale” e un impegno comune affinché la trattativa in corso a livello di Organizzazione Mondiale della Sanità, in vista di un accordo universale contro le emergenze pandemiche, si concluda con successo entro la scadenza attesa di maggio 2024.
In effetti, un’intesa di questo genere, che coinvolge due grandi aree progredite e democratiche del pianeta, con notevoli risorse scientifiche e finanziarie a disposizione, può e deve giovare anche agli altri popoli non direttamente interessati. Purché gli egoismi nazionali e gli interessi economici in gioco non condizionino le scelte concrete, impedendo che alle buone intenzioni proclamate seguano comportamenti coerenti, come purtroppo in gran parte è accaduto durante la bufera del Covid-19.
Nella dichiarazione congiunta che annuncia la costituzione della task force si indicano alcuni obiettivi specifici di grande rilievo in campo oncologico. In particolare, la prevenzione e l’assistenza nei casi di cancro pediatrico e giovanile e nei tumori polmonari. Si punta a facilitare l’apprendimento congiunto di nuove scoperte, lo scambio delle migliori pratiche e l’avvio di ricerche condivise anche a livello internazionale. Sia Unione Europea che Stati Uniti hanno già in corso l’attuazione di piani per la lotta al cancro e ora la task force ha messo al lavoro due gruppi misti di esperti per sviluppare una sinergia efficace.
Altri importanti terreni di collaborazione riguarderanno l’influenza aviaria, la malattia di Marburg (una forma di febbre emorragica molto grave) e la resistenza antimicrobica. Quanto alle possibili future epidemie, l’ambizione è anzitutto di dar vita a catene di approvvigionamento sicure, evitando strozzature e forme di concorrenza esasperata fra i Paesi colpiti. Ma anche riducendo la dipendenza da nazioni terze, che possono condizionare le forniture ai propri obiettivi geopolitici (vedi Cina). Lo stesso vale per lo sviluppo e l’attuazione di programmi vaccinali in caso di nuove emergenze.
Su questo punto, i due partner auspicano che si riesca a dar vita a procedure globali stabili nell’ambito dell’OMS, per l’accesso universale alle contromisure mediche necessarie in caso di allarmi sanitari. Si parla di costruire una vera e propria “pietra angolare” per prevenire e fronteggiare futuri virus. E di tale pilastro dovrà far parte anche il cosiddetto “Fondo pandemico”, che la Banca mondiale ha promosso ufficialmente a novembre dell’anno scorso a Bali, nell’ambito del G20. A febbraio scorso, sono stati stanziati i primi 300 milioni di dollari, per finanziare iniziative a sostegno dei Paesi più svantaggiati e meno in grado di governare crisi sanitarie acute.
Saranno i fatti a dimostrare se i “passi concreti” promessi dall’Unione Europea e dagli Stati Uniti, sul terreno della solidarietà internazionale, verranno davvero compiuti. Così da far dimenticare le “cattive pratiche” dell’era Covid, quando alle nazioni povere venivano promesse miliardi di dosi di vaccini, che ancora non sono state consegnate. Anche perché i nuovi allerta-virus in arrivo dalla Cina ci dicono che l’emergenza è sempre in agguato.
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