
In dieci anni e più anni di monitoraggio dell’infosfera ecclesiale l’ho sempre trovata sensibile alle sollecitazioni del calendario liturgico, specie per le ricorrenze più radicate nella devozione popolare. All’appuntamento con san Giuseppe (19 marzo) arriva puntuale – anzi, con un giorno di anticipo – anche Lucia Graziano: sul blog “Una penna spuntata” (bit.ly/3DTGVMV) ci racconta, con la brillantezza che la contraddistingue, tutto quello che c’è da sapere sul “bastone di san Giuseppe”, ovvero «quello che, almeno, la tradizione popolare ritiene tale», attualmente esposto a Napoli presso il nuovo museo San Giuseppe dei Nudi. Come spesso capita con le reliquie risalenti all’epoca evangelica, anche questa avrebbe attraversato avventurosamente l’Europa per fermarsi, portata da Giuseppe d’Arimatea, in Inghilterra. Qui è passata di mano in mano fino a quando un cantante d’opera italiano, nel 1712, l’ottenne in dono da una famiglia nobiliare e la portò a Napoli; furono poi i suoi eredi a cederla all’Arciconfraternita che tuttora lo custodisce. «Basterebbe farsi un giro su Google per vedere quanto siano numerosi» i contributi dedicati, negli anni, «a questo piccolo pezzo di devozione napoletana», conclude Graziano. Così è: con l’avvertenza di digitare “mazzarella” più che “bastone”, si trovano mille varianti della storia, spesso accompagnate dal detto che raccomanda di «non sfruculiarla» (nel senso di non far perdere la pazienza a qualcuno).
Tre perle nel campo digitale
Un’interrogazione su Facebook, la mattina del 19, con l’hashtag #sangiuseppe, offre una gran copia di risposte, dalla quale estraggo tre chicche. Gioba (bit.ly/4igSZH9) rispecchia, nella vignetta, la nostra banalizzazione della storia della salvezza, immaginando la maestra di Gesù che rimprovera Giuseppe, visto che il Figlio dice che il Padre sta in Cielo; il testo invece descrive il santo come «l’uomo che sogna», e aggiunge: «Sognare è riuscire a vedere l'infinito di Dio dentro i limiti della vita concreta, aiutandoci a superare», come Giuseppe, «la tentazione delle soluzioni più piccole e facili». Kantiere Kairos (bit.ly/43YOMDx) regala ai follower un bell’assolo – voce e chitarra – di 100 secondi e un breve testo centrato invece sul «silenzio» di Giuseppe, «denso di presenza e affidabilità», «carico di riflessione e di preghiera», così che descriverlo «è come provare a spiegare cosa sia l'amore di un genitore, di un marito e di un custode speciale». La parrocchia SS. Giuseppe ed Eufemia di Carditello (città metropolitana di Napoli) si è preparata alla solennità del compatrono con un ricco triduo. Ma mi soffermo su una fotografia (bit.ly/4hn4knR) che documenta la partecipazione «di tutti i papà e gli uomini della comunità parrocchiale» alla Messa loro dedicata la sera del 18 marzo. Conto gli uomini nella foto e mi sorprendo: sono una sessantina; la didascalia augura loro di essere «padri teneri e premurosi che amano il silenzio lavorando dietro alle quinte».
L’alluvione dei contenuti “secolarizzati”
Provo allora a interrogare Facebook anche a proposito della “festa del papà”, versione secolarizzata di quella di san Giuseppe. Con l’hashtag #festadelpapa il panorama si allarga. Le cose che si guardano più volentieri sono quelle personali: di figlie e figli adulti che ricordano sinceramente l’amore dei padri perduti, e di padri giovani che sinceramente si inteneriscono per gli attestati d’amore di figlie e figli piccoli. Ma fatico a individuarle, soffocate dalle pagine di aziende, di enti, movimenti e partiti politici e relativi leader, forze armate (tutti i corpi!), ong umanitarie, programmi televisivi, singoli artisti e chi più ne ha più ne metta, che approfittano della ricorrenza per promuovere sé stessi. Compresi quelli specializzati in cose sportive che esaltano i padri i cui cromosomi atletici hanno consentito ai figli di praticare ad alto livello lo stesso sport. Una profusione che non mi aspettavo, dal momento che la festa “del papà” mi pare molto meno popolare di quelle “degli innamorati” e “della mamma” che la precedono e la seguono. Da ultimo segnalo un post che si pone “a ponte” tra sacro e profano, quello del Movimento eucaristico giovanile – Meg, a guida gesuita (bit.ly/41FWWhx). Per focalizzare san Giuseppe come «esempio di fedeltà e dedizione che illumina il cammino di ogni padre» prende a prestito il celebre «Sempre e per sempre / dalla stessa parte / mi troverai», bellissimo verso di una canzone di Francesco De Gregori rilanciata di recente da una pubblicità. Che, però, con la paternità c’entra poco o nulla.
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