Parola dai molti e opposti significati, “istinto”. Raramente è positiva, come per “l’istinto del gol”. In genere è negativa perché contrapposta a “ragione”: l’istinto induce all’errore, meglio ragionare. “Istinto” compare almeno tre volte nei titoli di domenica 11/6 sulla strabiliante vicenda dei quattro fratellini sperduti e ritrovati dopo 40 giorni nella giungla colombiana. Il “Giornale” (servizio di Valeria Braghieri) con il titolo: «L’istinto e una nonna come guida» accosta al necessario istinto l’insegnamento, ossia la cultura: saranno anche stati istintivi, i bambini, ma sapevano quel che facevano. Sulla “Repubblica” «La rivincita dell’istinto» è il titolo del commento di Paolo di Paolo, che scrive: «Ha avvantaggiato i sopravvissuti una superiore qualità dei sensi – quella che Calvino indicava come la perdita eclatante di una civiltà urbanizzata. Occhi che vedono meno, naso e orecchie meno efficaci. Mani che hanno disimparato». A fare la differenza sono stati «il sapere e il sentire dei quattro ragazzini». Nell’articolo però la parola “istinto” non compare mai... Nella pagina precedente il titolo della rubrica di Concita De Gregorio è «L’istinto e le regole». Curioso parallelo tra giungla colombiana e giungla di casa: «Il buio il freddo la pioggia sedici ore al giorno la fame le belve feroci i serpenti. Quale radar li ha guidati, quale sapienza arcaica che noi non riusciamo nemmeno a immaginare. Abbiamo perso l’istinto di sopravvivenza, ho detto. Madre, se ci comportassimo seguendo l’istinto andremmo tutti in galera, ha risposto dopo un breve silenzio uno dei figli. Ha ragione anche lui». E allora, istinto o non istinto? Forse il merito va a qualcosa di ancor più ancestrale. Sul “Corriere” (12/6) Daniele Mastrogiacomo intervista il generale Garcia: «I bambini ci temevano, li abbiamo trovati grazie agli spiriti della foresta». La metropoli ha i suoi spiriti? Le macchine li hanno? O solo i luoghi della natura, boschi acque deserti montagne? E quale sarà la morale della vicenda? Scrive Viola Ardone (“Stampa”, 11/6): «Dovremmo forse imparare la lezione degli huitoto e lasciare che i nostri ragazzi crescano un po’ più selvaggi e un po’ meno sorvegliati. Imparare a curarsi da sé, a cantarsi da soli la ninna nanna, a consolarsi da soli. È così che si cresce». Ohibò.
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