sabato 9 giugno 2018
Il totalitarismo brasiliano ha fatto di tutto per cancellare il nome di João Alves Jobim Saldanha, ma la storia di cuoio ha sconfitto l'antico regime. Oggi il suo nome a Rio de Janeiro campeggia ovunque. Dalla pista ciclabile che da Copacabana porta a Ipanema, all'insegna di un caffè frequentato da studenti, professori e tifosi, alla sala stampa del Maracanà dove su una lapide sta inciso «al calciatore, giornalista ed ex ct della Seleçao, João Saldanha». Pochi sanno che il più forte Brasile di sempre, quello di Mexico '70, era una sua creatura che gli strapparono di mano alla vigilia del Mondiale. Al suo posto misero l'allievo Zagallo. Il ct Saldanha saltò con l'accusa di «pericoloso sovversivo». In realtà pagò la dissidenza da campo non convocando Dario, il raccomandato del dittatore Medici. «Quattro uomini sulla stessa linea vanno bene solo per le parate militari. Il Generale scelga i suoi ministri e lasci stare le cose serie come il calcio. Chi gioca nella Seleçao lo decido io», fu la risposta al regime militare da parte del più grande battitore libero oltre che del più fine intellettuale partorito dal fantasioso futebol bailado". Un genio dell'ironia capace di affondi come «se voi inglesi siete i più onesti, spiegatemi a cosa dobbiamo la fama internazionale di Scotland Yard?». Battute da n.10, una maglia, sosteneva Saldanha, da consegnare solo a chi «conosce la "mapa da mina" (la mappa della miniera) per indicare ai compagni dove trovare il tesoro».
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