Una delle code vacanziere italiane è rappresentata dalle sagre, che imperversano in ogni dove per tutto il mese di settembre, ma anche di ottobre. Luoghi di incontro, espressioni identitarie in molti casi, dove il successo viene misurato se c'è bel tempo o meno oppure se è arrivata tanta gente. Ma non basta più. I ristoratori di solito mugugnano di fronte alle sagre, perché le ritengono un'invasione di campo. In realtà la sagra, anziché fissarsi su una tradizione a volte stanca, dovrebbe essere propedeutica a un'ipotesi sociale e culturale, anziché a fare andare soltanto le mandibole. Don Gabriele, 31 anni, parroco di Castelletto Monferrato, che cura anche la parrocchia di San Salvatore, dove don Sandro Luparia ha dato un imprinting di serietà sulle iniziative realizzate in loco, è reduce da una festa particolare, dove ha messo in piazza le cucine di tutte le nazioni che in qualche modo abitano il paese. Venti Paesi, dalla Colombia all'Egitto, da cui arriva una fetta di abitanti di quelle che possiamo definire le nuove comunità. Migliaia le persone che sono andate a fare degli assaggi di feijoa brasiliana che si confrontava con la pasta e fagioli di don Sandro. Colpisce la potenza del messaggio: in un paese non ci possono essere estranei. Anzi, l'estraneità è la prima zizzania che va estirpata quando si radicano nuove famiglie, che arrivano da culture lontane. Non è facile scalfire il muro del sospetto, ma la strada dell'integrazione sociale è l'unica che può ridisegnare la civiltà dei piccoli Comuni, dove di fatto c'è un processo in tale direzione che parte dalle scuole, e persino dai campi coltivati che vivono grazie a una manodopera forestiera (a patto che venga rispettata la giusta mercede). Di iniziative simili a quella di San Salvatore Monferrato ce ne sono anche nel Bresciano, ma andrebbero incentivate ovunque, laddove la parola incentivo potrebbe essere addirittura monetizzata da uno Stato che dovrebbe indicare le espressioni più virtuose. Uno Stato, un istituto bancario e assicurativo dovrebbero avere interesse al futuro che avanza, che è fatto di gente che magari arriva da molto lontano, così come gli italiani d'inizio secolo scorso che andarono nel mondo. Chi investe sulle nuove comunità rurali? La domanda è aperta ed è tutt'altra che un'abiura delle identità. Anzi: l'identità di un paese, la sua storia sono l'amalgama che abbraccia ciò che di nuovo arriva. La coscienza di un'identità, il suo rispetto, hanno un valore aggregante anziché escludente. Ma se non si fa nulla perché ciò succeda, se le nuove comunità non vengono accompagnate a riconquistarsi ciò che era dei predecessori, la prospettiva è il degrado. Da un semplice piatto cucinato con amore e coi prodotti del proprio territorio può nascere uno straordinario messaggio di apertura.
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