Nella scia di alcuni interventi sull'Unità del suo direttore-donna e di alcune altre femministe, per un aggiornamento del femminismo Umberto Veronesi ripete sul Corriere della sera (venerdì 21) ciò che aveva già scritto su Repubblica (lunedì 10): «La finalità della legge 194 era quella di ridurre gli aborti clandestini e non di promuovere il principio che interrompere una gravidanza è giusto» e però parla del «diritto all'interruzione di una gravidanza non voluta» e afferma che «le donne non uccidono e non si uccidono», che «il numero di aborti è drasticamente diminuito e il "mercato nero" è scomparso» e, infine, che «le donne non si fermano: la vittoria dell'approvazione della Ru 486 è parte di un progetto non scritto di affermazione del loro futuro ruolo». Povere donne e poveri noi se il «futuro in femminile» fosse realmente questo pensato da Veronesi. E davvero «le donne non uccidono», se una consistente minoranza - circa 150mila ogni anno - fa morire i suoi figli nel proprio seno grazie a quel "diritto"? Davvero gli aborti diminuiscono e quelli clandestini sono scomparsi se il loro totale è oggi il doppio di quelli ante 194? Il «futuro in femminile» toccherebbe l'assurdo se fosse costruito sui 10 punti che costituirebbero «la forza delle donne» e di cui il decimo, «che nasce dagli altri messi insieme», afferma che la donna di cui si parla «è portatrice di pace». Quale pace dall'archetipo di donne del futuro di Veronesi? Ripenso con mestizia a ciò che Madre Teresa di Calcutta ripeteva sempre, anche all'Onu e a Stoccolma per il Premio Nobel: «L'aborto è il maggiore distruttore della pace, perché è una guerra contro il bambino. Se accettiamo che una madre possa uccidere il proprio figlio, come possiamo dire alle altre persone di non uccidere i propri simili?».
LESSICO LAICISTA
Piccola normale antologia di lessico laicista di queste ultime settimane: «Ora di religione, la Cei attacca» (Repubblica, 13/8), «I vescovi contro il Tar» (Corriere della sera, 13/8), «La negazione della sepoltura a Welby» (Curzio Maltese, Venerdì di Repubblica, 7/8), «La crociata contro il preservativo lanciata proprio nel cuore dell'Africa» (idem), «La crocifissione pubblica della famiglia Englaro» (idem), «La scomunica della bambina brasiliana» (idem) "
IRONIA IN CRISI
«La dimensione magica che [certi italiani] attribuiscono a tutto ciò che "Egli" dice e mostra attraverso l'esibizione del suo corpo mediatico glorioso è verità a prescindere dalla realtà. Per loro Berlusconi è una sorta di Padre Pio della politica». Lo scrive Moni Ovadia su l'Unità (sabato 22). Perché un ebreo colto e stimato deve ironizzare, pesantemente e con paragoni assurdi, su un Santo tanto amato dai cattolici? Crisi di ironia e soprattutto di pensiero in chi è stimato come maestro dell'una e dell'altro.
DIVERSAMENTE VIVI
Sul Venerdì di Repubblica (venerdì 21) lo scrittore Stefano Bartezzaghi critica l'uso dell'avverbio "diversamente" allargato dai disabili a ogni altra condizione umana di debolezza. E cita il caso di un impresario funebre che diceva: «Ma poi i morti sono solo diversamente vivi». Bartezzaghi e quell'impresario non sanno che quella non è una battuta, ma la verità?
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