Riti e celebrazioni dal mondo per scoprire un comune cammino
domenica 20 agosto 2006
«Il nostro mondo è un immenso mosaico di culture, nel quale la musica ricopre un fondamentale ruolo sociale e rappresenta uno strumento indispensabile per accompagnare i riti e le celebrazioni che scandiscono i momenti più importanti dell'esistenza umana»: da questo chiaro convincimento è nato il sotterraneo fil rouge che unisce tra loro i 19 brani inclusi nel disco intitolato Rituals and Celebrations of the World (pubblicato da Playa Sound e distribuito da Sound and Music). Un'antologia curiosa e singolare, le cui origini si possono in qualche modo ricondurre nell'alveo dell'etnomusicologia, quel ramo della musicologia che si interessa della tradizione orale e dei suoi rapporti con le più disparate discipline, dalla psicologia alla sociologia, dalla fisica dell'acustica alla vera e propria storia della musica. Risultato di un intricato percorso di studi, ricerche e viaggi intrapresi lungo i confini tra fede, cultura e folclore, questo album si impone come una sorta di caleidoscopio sonoro, all'interno del quale si ricompongono i cangianti riflessi di miti, leggende, costumi sociali e credenze religiose; in quest'ottica, al fianco dei brani con cui la comunità cristiana del Camerun celebra l'arrivo del Santo Natale o dei canti liturgici dai monasteri ortodossi rumeni si ritrovano gli inni devozionali provenienti dalle regioni centrali dell'India e i riti di iniziazione scanditi dai Gamelan di Bali, la ninnananna argentina Duerme negrito e quella portoghese O menino esta duermendo (dedicata al Bambin Gesù), la "Danza degli spiriti" degli Aborigeni australiani e le musiche propiziatorie per i combattimenti di Thai-boxe thailandese, i canti sacri dalle riserve degli indiani Navajo e le danze di guerra dalle isole della Nuova Zelanda (che richiamano alla memoria le pittoresche pantomime inscenate dalla Nazionale di rugby degli All Blacks prima di ogni partita). Peccato si avverta un po' troppo il tono neutro e ovattato dello "studio di incisione" piuttosto che lo spirito più vivo e coinvolgente della registrazione "sul campo": quello che ha invece caratterizzato le imprese avventurose dei primi grandi pionieri dell'etnomusicologia, lontane da qualunque pretesa estetizzante, mosse soltanto dalla volontà di capire e di spiegare.
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