Ieri “Manifesto” (p.8): “Brasile. Dom Pedro è tornato a casa”. Un breve riquadro “corregge” una notizia data il giorno prima sulla vicenda di dom Pedro Casaldáliga. Missionario claretiano, il vescovo Casaldáliga, 84 anni, vive dal 1968 nel Mato Grosso e difende con rischio continuo della vita i diritti degli ultimi. Al “Manifesto” ne parlano come fosse cosa loro, e quasi sempre per metterlo in contrasto con la sua Chiesa e con Roma. Che dire? A parte la correzione, ricordiamo che la sua Chiesa lo onora, ma qui anche che “Avvenire” già il 22 dicembre gli ha dedicato un'intera pagina: ampio articolo di Lucia Capuzzi con grande foto di lui «protettore dei poveri» e perciò «nel mirino dei fazenderos», seguita da una bella intervista al vescovo Tomas Balduino, suo amico e collaboratore, e da quattro note sul dramma del «lavoro da schiavi» voluto dai latifondisti e perciò sulla necessità di una «riforma agraria» che metta fine al fenomeno. Insomma da 44 anni la Chiesa di dom Pedro, monsignor Casaldáliga, difende i poveri e “Il Manifesto” è ben arrivato, ma al seguito. E le contraddizioni? Stavolta in casa nostra. Su parecchi giornali, e ieri sul “Fatto” – ma non solo – spesso si afferma seriamente che ormai da noi la Chiesa, al solito (anti)clericalmente identificata sempre e solo con Papa e Cei sposta pochi voti, e nelle vicende elettorali conta poco. Può darsi… Ma allora perché tanti strilli, sul “Fatto” ieri – ma ce ne sono anche altri – per ogni parola che viene da quelle fonti? Perché parlare addirittura di “gamba tesa”, se in pratica – secondo loro – nessuno o quasi ne tiene conto? È la contraddizione di chi pensa di pensare, ma rumina acidi tutti e solo suoi…
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