È davvero una storia di risurrezione quella che lega le vite di Arnaud Beltrame e Julie Grand. La racconta lei stessa sul sito del settimanale “La Vie”, in un lungo testo-confessione uscito lo scorso 26 marzo (bit.ly/43Dt1Hh). All’origine c’è l’atto terroristico che nel marzo 2018 (vedi la cronaca di “Avvenire” bit.ly/4ctIn5f) ebbe come teatro un supermercato a Trèbes, in Francia: un giovane islamista si barricò nel negozio tenendo in ostaggio una donna e poi accettò di “scambiarla” con il gendarme Arnaud Beltrame, il quale perse la vita in conseguenza del suo gesto. Quella donna era appunto Julie Grand, la quale oggi testimonia il percorso che, a partire da quel trauma, l’ha condotta dall’ateismo «duro e puro» a una vera, graduale conversione. In questo cammino ci sono: un libro in cui si ipotizza che le persone aperte alla spiritualità si riprendono meglio dalle prove della vita; il dono di una “Medaglia miracolosa” giunto mentre la vita le sta infliggendo nuove, dure prove, e che lei considera «una chiamata»; la «mano» che un canonico dell’abbazia di Lagrasse, amico e padre spirituale di Beltrame e della moglie, le aveva «teso» all’epoca dell’attentato. La spiritualità del gendarme, conosciuta incontrando tempo dopo questo canonico, apre uno squarcio nel suo spirito: «Davvero questo Dio nel quale quest'uomo eccezionale ha riposto la sua fede merita il mio interesse». L’abbazia, che «emana promesse», diventa per la Grand un luogo familiare, dove – affiancata dal parrocchiano André – pregare, assistere alla messa, conoscere la Bibbia e sperimentare la comunità. Con una preghiera «di abbandono e di fiducia» la donna supera un’ultima prova («perché la fede non è un amuleto!»), chiede il battesimo, si sposa con André. E accompagnata da lui visita la tomba di Arnaud Beltrame. «Mi sento finalmente degno di visitarlo – commenta – perché il sacramento che ho ricevuto completa il legame che ci unisce». Se «il suo intervento mi ha permesso di vivere», la sua fede «mi ha aiutato a scegliere la vita con Dio, l'unica capace di onorare il suo dono».
Dalla Francia un contributo prezioso
Sono sette in tutto le “Risurrezioni” che “La Vie” ha pubblicato online nelle scorse settimane in proiezione della Pasqua. Alcune hanno a che fare con le morti del corpo: come quella di Marie-Caroline Cail (bit.ly/3TTaUK2), che appena partorito il sesto figlio va in coma, viene operata, subentrano complicazioni gravissime, ma infine si risveglia e ora può dire che l’incidente le ha fatto fare «passi da gigante» nel suo rapporto con Dio. O quella di Marie Thizy (bit.ly/49ejPuc), ragazza anoressica che solo con l’aiuto di Dio, la vicinanza di una sorella credente (lei non era battezzata) e un’omelia udita il giorno di Pasqua arriva, se non a guarire del tutto, a «fare pace» con il suo corpo. Altre “risurrezioni” riguardano morti dello spirito: come quella di Brigitte Navail (bit.ly/3J2za68), che da adolescente è preda degli abusi spirituali e sessuali di un prete ma da adulta, e dopo aver trascorso tutta la sua «carriera professionale nella Chiesa», riesce, non senza travaglio, a riconoscersi vittima, a diventare testimone, davanti ai vescovi, di quanto ha subito e a farsi protagonista della lotta perché le cose cambino. O come quella di Joseph Lebèze (bit.ly/4aCvWlX), che, testimone da bambino dell’uccisione della madre da parte del padre, da giovane diventa «disumano» e alcolizzato come il genitore; poi un prete lo aiuta a vincere la dipendenza, apprende la fede assistendo un tetraplegico, chiede il battesimo, si sente «accolto dalla parrocchia senza essere giudicato» e finalmente, dopo una lunga confessione, di dice «risorto» e, trascorsi altri lunghi anni di cammino, si avvia al sacerdozio.
Accoglienza e preghiera pasquali
C’è una tonalità pasquale in tutte queste storie, splendidamente trascritte dai redattori de “La Vie”, e non solo per il “terzo giorno” che ne rappresenta l’oggetto principale. Leggendole si ritrovano tutti
i momenti che liturgicamente stiamo vivendo nel Triduo: sono costellate di cene, piedi lavati, invocazioni estreme negli orti degli ulivi, flagellazioni, croci, deposizioni e visite ai sepolcri. Ci sono anche delle persone di fede e delle comunità – parrocchie, monasteri, movimenti – capaci di accogliere e di accompagnare dalla morte alla vita persone che spesso non erano neppure battezzate, o che il loro battesimo l’avevano dimenticato. C’è, infine, la preghiera, «àncora di salvezza» alla quale ciascuna e ciascuno di questi risorti si affida con frutto. È certo la lezione più importante che queste “risurrezioni” ci donano.
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