Risuona ancora l'eterna solennità del gioioso «Te Deum» di Dvorák
domenica 9 gennaio 2005
Messo in ombra com'è dall'imponenza delle due "cattedrali sonore" che lo stesso autore concepì tra il 1876 e il 1890 (Stabat Mater e Requiem), il Te Deum di Antonín Dvorák è stato a lungo snobbato dalla critica e trascurato dagli esecutori; eppure i presupposti per una duratura fortuna c'erano tutti, a partire dalle favorevoli circostanze che ne accompagnarono la nascita. Correva infatti l'anno 1891 quando, insieme con l'invito a recarsi negli Stati Uniti per dirigere il Conservatorio Nazionale di Musica, il compositore boemo ricevette la richiesta di scrivere un nuovo, grandioso pezzo che coronasse i festeggiamenti del quattrocentesimo anniversario della scoperta dell'America. Per onorare tale prestigiosa commissione Dvorák si rivolse appunto al testo del Te Deum, l'antico inno liturgico in onore della Santissima Trinità già portato sul pentagramma dai più illustri musicisti di sempre, da Lasso e Palestrina a Charpentier e Händel, da Haydn e Mozart a Berlioz e Bruckner; il 21 ottobre 1892, durante il concerto per il "Columbus Day", il "Te Deum per soprano, baritono, coro e orchestra" risuonò così per la prima volta alla Carnegie Hall di New York, sotto la bacchetta dello stesso autore. All'entusiastico successo tributato a questa pagina sacra contribuì in modo decisivo il suo travolgente carattere gioioso e celebrativo, che torna oggi a risplendere in una rara incisione discografica realizzata dalla New Jersey Symphony Orchestra e dal Westminster Choir diretti da Zdenek Macal (cd pubblicato da Delos e distribuito da Milano Dischi). Attraverso una lettura estremamente fedele allo spirito originario della partitura, che rende pienamente merito della "pittura musicale" con cui Dvorák ha inteso assecondare i policromi pannelli di un testo che rappresenta il canto di lode e ringraziamento per eccellenza; a partire dalla sfavillante tavolozza timbrica da danza slava che caratterizza la sezione d'apertura ("Te Deum Laudamus"), passando per le tenui sfumature del successivo intervento lirico del soprano ("Sanctus Dominus Deus Sabaoth") e le sfolgoranti decorazioni degli ottoni sull'assolo del baritono ("Tu Rex gloriae"), fino all'esuberante ritorno del motivo iniziale sull'esplosione cromatica del coro conclusivo ("Alleluja").
© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: