Non facciamo sparire il mare, dicono a Vercelli, dove l’immagine della primavera, da sempre, è quella del “mare a quadretti”: i fazzoletti di risaie letteralmente sommersi d’acqua. Ora, nelle principali aree risicole, fra Pavia, Novara e Vercelli, il problema è duplice, come in una tempesta perfetta. Da una parte c’è la siccità che incombe, dall’altra c’è l’Europa che sembra minacciare proprio il concetto di sovranità alimentare. I produttori di riso sono preoccupati, perché da pochi giorni è stato pubblicato il regolamento sui limiti di arsenico inorganico nel riso, dopo quelli relativi al cadmio dello scorso anno. Dove i limiti erano stati abbassati a 0,15 per il riso, dallo 0,20 precedente, valore che invece resta per la frutta in guscio, gli spinaci, mentre il cacao può essere allo 0,60 e il cioccolato allo 0,80. E qui bisogna capire dove stia il buon senso, perché cadmio sempre è: sul riso come sul cioccolato. Cosa farebbe male veramente? In Giappone e anche negli Stati Uniti i limiti sul riso sono allo 0,40 per cento, mentre ci sono Paesi che non si pongono il problema. Ma secondo la libera circolazione delle merci, in un giorno neanche troppo lontano potrebbe arrivare qui da noi un prodotto con alto valore di cadmio, in assenza della possibilità di coltivare il riso. Si chiama concorrenza sleale, ma anche la fine di quella sovranità alimentare che è fra i titoli del ministero delle Politiche agricole. «È un caso classico – mi fa presente un imprenditore risicolo di Vercelli – di quando un valore, quello salutistico, si trasforma in ideologia, rischiando di spazzare via colture millenarie». «Siamo arrivati al limite – dice l’ingegner Giovanni Bertolone – dopodiché diventa fisiologica la scomparsa della coltura». Ma può succedere che accada tutto questo nel silenzio? Anche le elezioni politiche nei Paesi Bassi hanno fatto poco rumore, eppure pochi giorni fa si è imposto il partito dei contadini, che ha vinto le elezioni in quasi tutte le 12 province olandesi, di fronte a un Governo che voleva abbattere un terzo dei capi bovini per seguire un’ipotesi ambientalista. Senza mettere in conto che in mancanza di concimi organici, poi si deve ricorrere alla chimica per sostenere le altre colture. È il gatto che si morde la coda, oppure la fiera delle contraddizioni, figlie di una deriva che diventa pericolosa quando assolutizza un dato e rompe equilibri, economici e sociali. Non è questa l’Europa che vogliamo, che prima ancora s’era preoccupata, sempre per ideologia salutistica, di minacciare il brindisi.
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