Tra le migliaia di battute che circolano in rete da quando tutta l'Italia è zona rossa, ce n'è una (già citata qualche giorno fa in un editoriale di questo giornale), che dice più o meno: «Sto a casa da tre giorni con i miei familiari, mi sembrano brave persone». Al di là del suo significato contingente, la boutade fissa in modo in modo efficacissimo una constatazione, molto amara, sul modello sociale oggi purtroppo dominante. Un modello in cui nelle famiglie si convive senza un vero tessuto connettivo a legarne i membri, dove genitori e figli stanno in contatto via social (e questo quando va bene), ma più spesso non dialogano affetto, dove in realtà non ci si conosce e, quando succede qualcosa, si ascolta sempre lo stesso ritornello: «Non me lo sarei mai aspettato».
E allora, adesso che siamo chiusi in casa, e che dobbiamo restarci chissà quanto, perché non approfittarne per cercare di scoprire «nuovi modi, nuove espressioni di amore, di convivenza in questa situazione nuova. È un'occasione bella per ritrovare i veri affetti con una creatività nella famiglia. Preghiamo per la famiglia, perché i rapporti nella famiglia in questo momento fioriscano sempre per il bene»? Già, perché no?. Non bisogna cedere alla tentazione di archiviare questa esortazione, lanciata da Papa Francesco ad inizio settimana, alla voce "fare di necessità virtù". Perché non lo è. È un invito a vivere al meglio possibile il tempo che ci è dato, quale che esso sia, e sforzarsi di trarne il miele. Senza cadere mai nello sconforto, nel pessimismo, nella rassegnazione fatalistica. Che poi è quanto insegna il Vangelo.
Accettare la situazione in cui siamo costretti, e cercare di trarne il meglio – che in questo caso vuol dire, appunto, «ritrovare i veri affetti» – è, per Francesco, l'atteggiamento giusto, da veri credenti, per affrontare la prova del coronavirus, vivendo la stessa semplicità della famiglia di Nazareth, che si nutre dell'essenziale e non di quello «spirito mondano... che ci porta verso la vanità, verso le apparenze...». E per controprova il Papa ha menzionato un video da lui stesso visto «su un telefonino», in cui si vede «un filmato della porta di un palazzo che era in quarantena. C'era una persona, un signore giovane, che voleva uscire. E la guardia gli ha detto che non poteva. E lui lo ha preso a pugni, con uno sdegno, con un disprezzo. "Ma chi sei tu, 'negro', per impedire che io me ne vada?". Lo sdegno è l'atteggiamento dei superbi, ma dei superbi... con una povertà di spirito brutta, dei superbi che vivono soltanto con l'illusione di essere più di quello che sono».
Uno sdegno, ha aggiunto Bergoglio, da cui dobbiamo stare in guardia, perché «anche a noi può succedere questo: "lo scandalo farisaico", lo chiamano i teologi, cioè scandalizzarmi di cose che sono la semplicità di Dio, la semplicità dei poveri, la semplicità dei cristiani, come per dire: "Ma questo non è Dio. No, no. Il nostro Dio è più colto, è più saggio, è più importante. Dio non può agire in questa semplicità". E sempre lo sdegno ti porta alla violenza; sia alla violenza fisica sia alla violenza delle chiacchiere, che uccide come quella fisica». Al contrario, in questo tempo un po' scombinato che sta rimettendo in discussione tutte le nostre certezze e minando le nostre false sicurezze, in questo tempo in cui tutti siamo rientrati in contatto con la nostra umana fragilità, ogni superbia, ogni "sdegno", può essere curato. Alla luce di una riscoperta semplicità che, proprio nella famiglia che si riscopre tale, trae nutrimento.
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