«Una cartina del mondo che non contenga Utopia non è degna neppure di uno sguardo» scriveva Oscar Wilde «perché tralascia il paese nel quale l'umanità continua ad approdare. E, quando vi approda, l'umanità si guarda intorno, vede un paese migliore e issa nuovamente le vele». La spinta verso un futuro migliore è scolpita nel Dna dell'uomo, che storia e cultura hanno abituato a ragionare in termini di progresso continuo. La fase che stiamo vivendo, tuttavia, sembra costituire una clamorosa eccezione alla regola. Come ci ha spiegato Zygmunt Bauman nel suo ultimo saggio (pubblicato postumo) "Retrotopia", a tutti i livelli della convivenza sociale si verifica oggi - dopo 500 anni dall'"Utopia" di Tommaso Moro - un'inversione di rotta: il futuro, fino a ieri habitat naturale di speranze e aspettative legittime, si trasforma in sede di incubi. E la nostalgia del passato diventa dominante. «La prima cosa cui pensano molti di noi, quando si parla di "progresso", è la prospettiva dell'ulteriore scomparsa di posti di lavoro» scrive Bauman. La fine delle "magnifiche sorti e progressive" dello sviluppo è un sentimento che attraversa e indebolisce oggi tutte le società occidentali. Ma in Italia è più radicato che altrove, poiché qui l'ascensore sociale si è bloccato da molti anni e non offre più - neanche ai meritevoli e capaci - la chance di salire verso un livello superiore della piramide sociale. Lasciando campo libero al "familismo" e ai suoi meccanismi, la raccomandazione in primis, che diventa preponderante nell'accesso al mondo del lavoro e agli incarichi di vertice. Il potente affresco di Bauman viene utilizzato solitamente per spiegare il fenomeno dell'ascesa dei partiti populisti in tutto il pianeta. Ma è ugualmente prezioso per individuare le radici di altri fenomeni che in Italia sono oggi particolarmente evidenti. Il prevalere della visione secondo cui il futuro sarà peggiore del presente induce ogni cittadino, consumatore e investitore a comportamenti che vanno in senso contrario allo sviluppo economico: lo inducono al risparmio invece che al consumo, al tentativo di proteggere ciò che ha piuttosto che di accrescerlo, alla staticità piuttosto che al dinamismo. Creando così fenomeni come la prevalenza della Rendita sulla Produzione e "l'emarginazione sociale" degli imprenditori, la scarsa attenzione agli investimenti in formazione e la fuga dei giovani all'estero. Come uscire da questa "spirale retrotopica"? Rovesciando il tavolo delle priorità politiche e sociali del nostro Paese: avviando una seria battaglia contro la de-natalità, moltiplicando gli investimenti pubblici in formazione, incentivando gli investimenti privati in innovazione e ricerca, imponendo i concorsi di merito dove oggi è utilizzata la comoda via della nomina discrezionale. In sintesi, riscoprendo la forza salvifica del futuro.
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