È facile prevedere che l'autunno 2020 sarà dominato dalla questione lavoro. Se finora la crisi economica da Covid-19 ha determinato conseguenze gravi ma non drammatiche sul mercato del lavoro, è solo l'effetto della "bolla" determinata dal blocco dei licenziamenti imposto alle imprese che utilizzano la Cassa Integrazione Guadagni. Una misura sicuramente comprensibile nelle sue finalità sociali, ma unica nel mondo occidentale per natura e durata. Quando la (costosa) eccezione rientrerà, il tema occupazione esploderà nella sua reale intensità in un Paese che non sembra affatto pronto ad affrontare questa nuova fase dell'emergenza. Piuttosto che preoccuparsi di prorogare il più possibile ciò che Confindustria ha definito una "pietrificazione" dell'economia produttiva, il governo dovrebbe creare le condizioni perché le aziende possano tornare a crescere rapidamente e i lavoratori possano trovare occupazione. Ma se molto si discute degli investimenti (pubblici e privati) necessari per la ripartenza, pochissimo invece dell'accesso al mercato del lavoro. La questione occupazionale, infatti, riaccenderà molto presto i fari sull'inefficienza e sull'inefficacia dei Centri per l'Impiego. In Italia rappresentano la Cenerentola degli strumenti per trovare lavoro: solo il 3 per cento dei disoccupati, ogni anno, si occupa grazie all'attività svolta dai Centri. Non sono in grado di definire ne' di erogare percorsi di formazione e di riqualificazione professionale, non riescono ad incrociare i loro database con i reali bisogni delle imprese.
In un cortocircuito continuo tra causa ed effetto, questo fenomeno si inserisce in un sistema-Paese in cui oltre il 60 per cento dei posti di lavoro vengono occupati mediante intermediazione informale (amici, parenti, cordate d'ogni genere), come in Spagna, mentre la Germania ha una situazione ribaltata con il 40 per cento di occupazione generata attraverso questi canali. È un sistema-Paese, il nostro, in cui ogni serio tentativo di costruire un sistema di accesso al lavoro più trasparente si infrange proprio contro il cattivo funzionamento o la scarsa rilevanza dei canali di intermediazione formali. Se i Centri per l'Impiego non funzionano, i concorsi hanno portata limitata per numero e qualità dei posti di lavoro in palio, e le agenzie di collocamento private non decollano (se non per le competenze e le mansioni di livello più elevato).
Affidare il lavoro, ovvero il diritto-dovere più prezioso della cittadinanza sociale, alla "giungla" delle reti amicali vuol dire automaticamente mortificare il merito e non riconoscere il talento, premiando i furbi e i fedeli. Eppure le migliori stagioni di sviluppo economico e sociale del nostro Paese sono state quelle in cui l'ascensore sociale ha funzionato davvero. È ora di investire per riattivarlo.
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