Rischio astensione e vie efficaci di pace Il voto Ue opportunità da non mancare
venerdì 7 giugno 2024
Caro Avvenire, in questa vigilia elettorale molti media evidenziano il
rischio di un forte astensionismo. Ritengo invece che oggi assistiamo alla più intensa frattura tra la gente, il cosiddetto popolo, e le istituzioni. Questo genera assemblee o organismi che vengono percepiti come formali
e tecnico-giuridici, gelidi palazzi, lontani dal cittadino che non li considerano più parte della propria vita. Carlo Veronesi Caro Avvenire, vi scrivo per chiedervi se è possibile avere un articolo su come i vari partiti intendano perseguire la pace. Personalmente, ho letto i programmi elettorali di molti partiti ed in tutti è previsto un impegno per la pace. Il punto è: come si vuole arrivarvi? Quale partito dà alla pace la priorità sugli altri punti del programma? Gabriele Marcolini Cari lettori, prima di entrare nel merito, guardo al versante luminoso dei vostri messaggi. Investire tempo per scrivere a un quotidiano al fine di ottenere approfondimenti ulteriori in merito al voto (su Avvenire online si trova oggi la sintesi ragionata dei programmi dei partiti) implica un coinvolgimento sul tema ben superiore alla media dei nostri concittadini. Che, infatti, si prevede non andranno numerosi alle urne. Si tratta di un errore e di una sconfitta. Anche per la pace, come hanno sottolineato i vescovi europei e la Chiesa italiana. Un errore perché non sfruttiamo la possibilità che ci è data di esprimere la nostra preferenza per un partito e fino a tre candidati. Se non scegliamo, qualcun altro lo farà per noi. Una sconfitta perché indeboliremo le istituzioni, come dice lei, caro Veronesi, e le renderemo casa per pochi, apparentemente estranea alla nostra esistenza quotidiana, eppure straordinariamente influenti su tanti aspetti importanti, compresa la guerra. Il paradosso è che chi si disinteressa di qualcosa che dovrebbe riguardarlo, in questo caso l’Europa, spesso poi si lamenta e diventa critico quando non addirittura avversario di ciò che ha colpevolmente trascurato. A ciò si aggiunge il tentativo di nemici esterni dell’Europa di minare - con gli strumenti della disinformazione malevola - la sua coesione e la sua capacità attrattiva fatta di valori, libertà e democrazia.
La ricetta è semplice anche se può costare un po’ di risorse e di fatica. Bisogna andare a votare con discernimento, valutando le proposte delle singole liste (si vota con il proporzionale) e delle famiglie politiche continentali cui si assoceranno a Strasburgo. E dentro alla formazione prescelta, si devono trovare i rappresentanti più rispondenti ai problemi e alle sensibilità che ci stanno a cuore. Poi gli eletti vanno osservati e pungolati, è necessario che si sentano la responsabilità di dare voce e azione a tanti cittadini che hanno dato loro fiducia. Come convincere coloro che hanno perso speranza nella politica? Con l’esempio e la persuasione. La pace sembra, caro Marcolini, lei ha ragione, un motivo più che sufficiente per spingere ai seggi anche i pigri e i rassegnati. Chi, però, si impegna davvero per trovare vie d’uscita dai conflitti, quello in Ucraina soprattutto, che coinvolge la Ue e minaccia di allargarsi? Se guardiamo ai candidati, troviamo uno sparuto gruppo di sinceri pacifisti, un gruppo forse altrettanto numeroso di filo-russi che vorrebbero fare cessare presto la guerra ma con la capitolazione di Kiev e una larga maggioranza di non schierati o ambiguamente posizionati, che riflettono la scarsa iniziativa diplomatica messa in campo finora dall’Unione europea. Come regolarsi, quindi, se tutti promettono a parole di servire la pace senza dare concretezza a questa aspirazione? Dobbiamo fare affidamento su qualche figura capace e potenzialmente autorevole, in grado di unire e mobilitare, di farsi promotore o promotrice di iniziative efficaci e coerenti. Qualcuna nelle diverse liste la si può trovare. “Avvenire” sceglie di non indicarle esplicitamente per mantenere la propria indipendenza di giudizio. E’ compito di ciascuno almeno tentare. Sbagliano i politici, possiamo sbagliare noi elettori. Smettere di provare e riprovare è una resa che corrode la democrazia, allontana la pace e ci rende più deboli davanti ai pericoli che si stagliano all’orizzonte. © riproduzione riservata
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