mercoledì 21 gennaio 2009
Torno a Vito Mancuso. Ho criticato un suo intervento ("Repubblica", 13/1) sulla «religione civile che manca in Italia», dove mi pareva chiedere ai cattolici come tali di «rinunciare alla loro identità» in favore del bene comune. Confermo, ma forse il senso era altro: chiedeva ai cattolici di essere lievito e seme non rinunciando alla "fede", bensì a una identità culturale e politica separata, fatta di pensieri e progetti umani. Lo dice una sua frase che non avevo messo in rilievo. Eccola: «La storia ci ha mostrato che una religione civile contrapposta al cattolicesimo non è politicamente concepibile in Italia». Perciò egli non pensa ad un'assurda rinuncia alla fede cattolica, ma alla pretesa di renderla come tale progetto politico e sociale contrapposto a ogni altro, esigendo viceversa anche la rinuncia ad ogni "religione civile" come progetto culturale, politico e sociale contrapposto come tale alla fede. Dunque il lievito trasforma la farina e il seme genera il frutto proprio per la natura di lievito e di seme, che come tale sempre opera e resta preziosa. È lezione del Maestro: «Se il sale diventa scipito non serve a nulla"». Qui è il punto: conservare la fede e manifestarne la mite forza di servizio. Con una sola appendice: ha fatto bene Mancuso a difendersi poi " "Repubblica" (15/1) " da un'accusa poco nobile venutagli per pura opposizione politica. Del tutto con lui, e l'accusa toccherebbe anche me. Ma difendendosi egli scrive che ha sempre vissuto «senza perdere neppure per un secondo la fede». Ecco: forse alcuni suoi scritti sono apparsi oltre. È il caso di ripensarci.
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