martedì 28 agosto 2018
Domenica sera, dopo Inter-Torino, mi sono fatto “Tutto Spalletti minuto per minuto” ricavandone l'impressione che mi fece - mille anni fa - leggere il De Bello Gallico nelle cui pagine Cesare parlava di sè e della sua avventura in terza persona. Il sor Luciano raccontava - e benissimo, con dialettica fluente e intelligente - l'ultima sciagurata messinscena interista al Teatro Meazza di San Siro. Mi aspettavo - e qualcosa di simile arrivò - «Inter divisa est in partes tres», semplificando: primo tempo da scudetto; secondo tempo da retrocessione; terzo tempo: che fare?, e qui ci sta anche il sottotitolo dell'Opera di Lenin: «Problemi scottanti del nostro movimento». Alla parola “movimento” m'è tornato in mente il mitico Accacchino (Herrera Heriberto, rivale di Accaccone, Herrera Helenio) il quale alla disperata gridava «Movimiento! Movimiento!» che alla Juve gli valse uno scudetto, all'Inter un esonero seguito - incredibile a dirsi - da uno scudetto firmato nel '71 da “Robiolina” Invernizzi, in realtà fortissimamente voluto da Facchetti e Corso che decisero di far fuori HH2 alla settima giornata e di chiedere a Fraizzoli l'amico Gianni in panchina: 23 risultati utili consecutivi, il Milan fuggiasco agguantato e superato, si parlò di «scudetto della commissione interna», Rocco si affrettò a costituirne una sua. Ecco, non voglio certo suggerire il licenziamento di Spalletti, per carità, credo in lui: mi basterebbe sapere che nella sua Inter c'è qualche giocatore dotato di personalità - come Facchetti e Corso? - capace di vergognarsi di quel ch'è successo contro il Toro che all'inizio sembrava un vitellino eppoi... Non può esistere una così pesante carenza di autocontrollo, una così grave caduta d'energia, come quando ti tolgono la luce per lavori in corso; una luce d'emergenza c'è sempre: a San Siro, per l'Inter, buio fitto. Gielo dica ai suoi, Spalletti: in diretta. Ma non evochi il rumore dei nemici, quella è roba da Mourinho. Sassuolo e Torino sono ancora stupiti di tanta generosità. Il caso Milan-Gattuso è più semplice, anche se a sua volta è diviso in partes tres: primo tempo da scudetto, secondo tempo da retrocessione, terzo tempo Gattuso è nei pensieri. Perché l'incredibile sconfitta del San Paolo - concessa ad Ancelotti grande bravura in Zielinski e grande fortuna in Donnarumma - è destinata ad aprire la questione di Antonio Conte per un semplice assioma: per grande squadra - avrebbe detto il caro Vujadin - grande allenatore. Non lo dico io, lo dice parte del popolo rossonero e - secondo gossip - anche Leonardo. Io mi limiterò a segnalare, senza inventarmela, l'incongruenza di cercare la difesa del duplice vantaggio con una copertura che non ha previsto sfuriate in contropiede affidate a Higuaín: il quale, poveretto, ci ha pensato da solo, ciecando la palla, trovandola, eppoi sparandosi a rete, fermato da un fallaccio che la Var dormiente poteva evidenziare ma gli ordini sono cambiati e l'arbitro “autonomo” s'è sbagliato. Non difendo la Var ma l'errore Higuaìn resta comunque di Gattuso e per fortuna “Ringhio” se n'è accorto. Basterà per salvarlo?
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