Èdentro un negozio di orologiaio che ho letto su una parete bianca, forse come un antidoto di saggezza, questa frase firmata da Erodoto: «La fretta genera l'errore in ogni cosa». Chissà dove ha trovato quella frase il gentile e arguto orologiaio, che certo non è un esperto di letteratura greca. Il fatto è curioso perché Erodoto, il primo grande storico della cultura occidentale, uno studioso del tempo, con quella frase sembra diffidare del tipico vizio che il tempo induce in noi, il vizio della fretta. Dal V secolo a.C. in poi le cose sono andate molto avanti (o indietro?) e la religione della storia, l'idea di progresso, la mania dell'essere “al passo coi tempi”, come in una marcia militare, hanno sempre più conquistato la cultura, la mentalità dell'Occidente e del mondo. Con l'attacco illuministico e materialistico alle culture religiose, con la centralità moderna dei saperi scientifici, l'eterno e tutto ciò che è fuori della storia e ne relativizza il valore limitandolo, sono stati messi in secondo piano. La civiltà degli orologi ci ha costretti ad affrettarci verso il futuro, una meta molto immaginaria il cui valore è tutt'altro che garantito. Bella cosa che a un orologiaio sia venuto in mente di mettere in guardia dallo strapotere degli orologi. È vero e l'avevo scoperto di persona: la fretta è madre degli errori. Ogni volta che faccio una cosa in fretta, finisco per sbagliare: non sono un tipo svelto, sono anche poco coordinato e riesco a fare solo una cosa per volta. Sull'ultimo numero della “Lettura” del “Corriere delle Sera” ho trovato un articolo d'apertura in sintonia con questi pensieri. È un'intervista di Federica Colonna a Judy Wajcman, sociologa australiana il cui libro La tirannia del tempo. L'accelerazione della vita nel capitalismo digitale (Treccani, pagine 306, euro 23,00) è molto esplicito. Il tempo in cui viviamo e il nostro modo di percepirlo sono prodotti di tecnologie in continuo sviluppo: «Le tecnologie hanno drasticamente ridotto le distanze fisiche e temporali» e questo fin dalle origini del capitalismo. I tempi tecnologici modificano noi e la nostra vita. Tutto è più veloce, eppure di tempo ne abbiamo sempre meno. La stessa società funziona come una enorme e veloce macchina: guai a fermarla, anzi fermarla o rallentarla sembra impossibile. Che perciò il lavoro sia “alienato” è perfino più vero oggi che ai tempi di Marx. «Dobbiamo superare questa cultura del lavoro» dice Wajcman «e ridare valore alle attività più lente». Festina lente (affrettati adagio) diceva l'astuto imperatore Augusto. E Roland Barthes scrisse che «la letteratura non permette di camminare, ma permette di respirare».
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