risponde Andrea
Caro Avvenire, dopo anni di silenzio in Europa si riparla, finalmente, della soluzione “due popoli-due stati” (Israele e Palestina). Nel 1999, infatti, i capi di Stato europei avevano dichiarato solennemente tale orientamento. Oggi ne riparlano sia il governo italiano sia il presidente Mattarella. Per dimostrare di volere quell’obiettivo, basterebbe iniziare col riconoscere lo Stato di Palestina. Così hanno fatto 139 nazioni rappresentate all’Onu (tra le quali la Santa Sede). Dei 27 Paesi Ue, solo 9 l'hanno fatto. E l'Italia? È azzardato invocare un minimo di coerenza?
Sergio Paronetto
Caro Paronetto, la sua lettera ci spinge a una riflessione lontana dagli equilibrismi diplomatici e al cuore di ciò che si può fare per spingere avanti la pace in Medio Oriente. L’impegno che lei profonde per risoluzione non violenta dei conflitti con Pax Christi penso sia noto a quasi tutti i lettori, ma lo sottolineo qui per i pochi cui fosse sfuggito.
La soluzione dei due Stati è stata vicinissima al vertice di Camp David nel 2000, quando Ehud Barak propose a Yasser Arafat un’entità palestinese che comprendesse Gaza e gran parte della Cisgiordania. Arafat non colse al volo l’opportunità e già nel settembre di quell’anno Ariel Sharon tolse spazio a ogni dialogo con la “passeggiata” sulla Spianata delle Moschee di Gerusalemme, innesco della seconda Intifada. Dopo il pogrom anti-ebraico di Hamas del 7 ottobre 2023 e la guerra a Gaza con ventimila civili palestinesi uccisi, parlare a breve termine di una trattativa come quella che avvicinò i due governi un quarto di secolo fa sembra utopia. Ma lei, caro Paronetto, ci sollecita - e le dobbiamo essere grati - a pensare fuori dalle categorie dei generali e dei capi politici, per entrare in un’altra prospettiva, fatta di umanità condivisa, di pietà per le vittime e volontà di costruire la convivenza con il perdono e la riconciliazione. Bisogna avere la forza morale di tentare strade impervie e sconsigliate dalla realpolitik.
Basterebbe uno “strappo” dei principali Paesi Ue, o anche solo dell’Italia, nel riconoscere un ipotetico Stato palestinese, mentre ancora cadono le bombe sulla Striscia e qualche razzo viene sparato verso Tel Aviv? Certo, aiuterebbe la causa dell’Anp. Potrebbe però finire con il dare l’impressione - sbagliata - agli israeliani che sono soli nella difesa dell’esistenza del loro Stato, che i tradizionali alleati li stanno abbandonando e che, dunque, non ha senso trattenersi dallo schiacciare coloro che vedono come nemici.
Forse è una visione pessimistica, ancora intrappolata nella logica del buon senso, della prudenza e degli interessi di parte, che la profezia della pace cerca di scardinare e come richiama instancabilmente il Papa. Non è meglio seguire le vie della giustizia e dell’amore? Perché l’etica della responsabilità (quella che tiene conto degli effetti oltre che dei principi) non può essere compatibile con l’etica della convinzione (quella della coscienza senza compromessi), per usare le categorie di Max Weber? Sono domande laceranti che - come ha detto Liliana Segre riferendosi ai fatti di cui parliamo - non fanno dormire la notte. Ma che non dovremmo smettere di porci. Per trovare risposte insieme buone, giuste ed efficaci.