Ormai un'idea ce la siamo fatta: Pokemon Go è un'applicazione che ti consente, attraverso lo smartphone, di andare a caccia e, se sei bravo, di "intascare", in senso digitale, uno o più mostriciattoli (Pocket-Monsters, appunto: mostri tascabili), rendendo ancor più realistico il gioco creato a suo tempo dalla Nintendo per la console portatile Game Boy e già allora integrato con media più tradizionali come i cartoni in tv e i mazzi di carte. Gioco che consisteva e consiste tuttora nell'allenare queste creature a sfidarne altre in competizioni di stampo sportivo ma, a loro modo, cruente.Le parole che la blogosfera ecclesiale ha già dedicato a questa novità non sono molte, ma sufficienti ed eloquenti. In particolare è Massimiliano Padula, studioso di comunicazione nonché neopresidente Aiart, ad argomentare molto bene, sul Sir ( tinyurl.com/hf97a5k ), concetti che ha lapidariamente riassunto così: «I media siamo noi. Pokemon go è ciò che noi vogliamo che sia. Sta all'uomo scegliere...».Allora proviamo a immaginare se ci sono dei modi di utilizzare, non il gioco, ma la tecnologia che lo consente, per annunciare il Vangelo e testimoniare l'amore cristiano. Sarò fissato, ma mi vengono in mente i «fratelli più piccoli». Sarà così difficile progettare un'app che ci indichi, sullo smartphone, se vicino a noi c'è qualcuno in carne e ossa che ha fame e sete? Un anziano solo, magari con tanti acciacchi? Un amico intristito e infragilito da qualche prova, ma che non ce l'ha voluto far sapere? Una conoscente così molesta che abbiamo preso a ignorarla? In effetti l'abbiamo, questa app: si chiama Proximon, e funziona anche senza smartphone. È un sistema integrato occhi-orecchie, che trasmette un preciso segnale al cuore e/o alle viscere (che in risposta si contorcono). Solo che spesso si stacca la connessione. Eppure la Samaritan, l'azienda sviluppatrice che l'ha progettato, sa il fatto suo. Forse siamo noi che non sappiamo farlo funzionare...
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