Ernst Bloch, il teorico del "principio speranza", un giorno a Tubinga va a sentire un teologo cattolico che insegna nella stessa università e presenta il suo libro sul Diavolo. Per tutta la serata costui cerca di minimizzarne la presenza nella Bibbia facendone solo una questione di miti e simboli. Bloch per un po' ascolta ma poi, alzandosi di scatto, esclama: «Qui il male non è preso sul serio», e abbandona la sala. L'aneddoto teologico è raccontato da Italo Mancini nel suo libro Tre follie (edito da Camunia nel 1986, riproposto da Città aperta nel 2005), in cui sono raccolti i testi della rubrica radiofonica "I giorni" trasmessa dalla Rai nell'85. A differenza delle altre sue opere, assai più ponderose, questo volume è costituito da meditazioni brevi ma acute e ficcanti, «il testamento fraterno» di un filosofo-teologo che ripensa il senso del cristianesimo nella società attuale prendendo tutto sul serio. Come scrive egli stesso: «Un tempo mi piaceva essere un pensatore spregiudicato e un creatore di forme logiche; oggi mi piace di più il ruolo di testimone: testimone di Dio e della convivenza umana».
Protagonista di battaglie intellettuali e civili, Mancini ha avuto il merito di aver fatto conoscere in Italia vita e opere di Dietrich Bonhoeffer. Sacerdote e docente universitario a Urbino, dove fondò l'Istituto superiore di scienze religiose, tutte le domeniche a mezzogiorno nel Duomo celebrava la Messa e le sue omelie erano ascoltate da centinaia di giovani. Le «tre follie», cui si riferisce il titolo, sono la sofferenza, la nevrosi mondana e l'amore («follia sublime»), tre realtà che finiscono per toccare la vita quotidiana dell'uomo. In queste pagine don Italo, cresciuto alla scuola di Gustavo Bontadini all'Università Cattolica assieme a Evandro Agazzi ed Emanuele Severino (discepoli che hanno poi intrapreso percorsi filosofici diversi), parla veramente a cuore aperto, come quando liquida l'avventura del pensiero occidentale, i suoi grandi cicli culturali che non hanno vinto la guerra e la logica del dominio. L'Occidente deve farla finita con le questioni, rigorosamente razionalistiche, sull'essere o sull'io, come è avvenuto nel primo caso nell'età classica e nel secondo nell'età moderna. Ora deve riscoprire il primato dell'etica e dell'accoglienza: «Quale nuovo termine dominerà il terzo millennio? Direi così: il punto di Archimede non dev'essere più un indeterminato essere oppure un onnidivorante soggetto, ma dev'essere la relazione all'altro, al tu, a quello che la Bibbia chiama il prossimo». Non a caso Tornino i volti (Marietti 1989) è il titolo di un altro suo studio.
Riaffiora la lezione di Buber e Lévinas, così come nelle conversazioni di don Italo emergono costantemente due riferimenti filosofici e umani, Benjamin e Bonhoeffer, entrambi schiantati dal nazismo. Di Bonhoeffer in particolare Mancini sottolinea «il cristianesimo del paradosso» di cui egli stesso si fa propugnatore: rispetto alle altre due forme cristiane, quella «della presenza» e quella «della mediazione», che a suo dire non sempre sono conciliabili, «solo un senso fortissimo del cristianesimo può far sì che Dio ritrovi cittadinanza fra i giovani, così sommersi dalla pletora delle informazioni». Dove ritrovarne le tracce? Nella Lettera a Diogneto, negli accenti straordinari del testamento di Francesco d'Assisi, nelle pagine drammatiche di Pascal e Kierkegaard. Ma si tratta anche di collegare il senso cristiano con altri sensi, con altri progetti dell'iniziativa umana: «Il credente lotta con Dio per capirlo e farlo suo, l'ateo lotta contro Dio, ma intanto Dio ha sempre un senso per lui; la cosa diventa davvero disperata quando Dio diventa insignificante». Come si intuisce, parole preconizzanti, tenendo presente che Mancini è morto nel 1993. Se c'è un compito che Italo Mancini ha in mente, per i cristiani in particolare, è quello di promuovere una cultura della riconciliazione in un tempo dominato dalla frantumazione e dalla disgregazione. Pensando alla civiltà dell'informatica, a suo dire i cristiani e gli uomini di buona volontà devono smascherarne le logiche inadeguate riaffermando i valori comunitari e contemplativi, al fine di superare i pericoli dell'ipnosi collettiva.
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