René Arnou, francese, ma la sua vita è stata quasi sempre in Italia: fratello tra i confratelli! Perciò qui anche lui: gesuita, filosofo e teologo. Nasce a Parigi il 17 dicembre 1884, figlio di illustre padre, René anche lui, primo delegato della Santa Sede all’Onu. Nel 1902 è gesuita, poi si laurea in Lettere, Filosofia e Teologia alla Sorbona e nel 1915 è prete. Va volontario in guerra come cappellano e nel 1919 riceve la Legion d’Onore. Nel 1926 arriva a Roma, dove per quasi mezzo secolo insegna filosofia antica e teologia all’Università Gregoriana. Fondamentali per gli specialisti le sue lezioni di “Metaphysica” e “Il desiderio di Dio nella filosofia di Plotino” e lo studio sulla conoscenza umana della verità. Un dotto in cattedra, ma nella vita quotidiana l’incontro con lui fu importante e talora decisivo per molti, preti e laici, fino ai vertici della società e della Chiesa. Anticipatore di molte conquiste del futuro Vaticano II, amico e collega stimato di Teilhard De Chardin, Henri de Lubac e Yves Congar, prima a lungo guardati con sospetto dagli uffici curiali di Roma e poi creati cardinali da Paolo VI e Giovanni Paolo II. All’inizio degli anni 50 portò a Roma le Equipes Notre Dame, coppie cristiane chiamate a santità proprio grazie al matrimonio. Visse soprattutto in profondità prima l’attesa e poi la grande avventura del Concilio. Conobbe e fu vicino anche a don Zeno Saltini nella sua vita contrastata e poi accolta di Nomadelfia. Fu per tanti uno straordinario confessore e direttore spirituale, semplice e fermo, mai impancandosi a “capotreno delle coscienze”, lucido e aperto alla speranza per ciascuno e per tutti, saldo sulla roccia della fede e aperto ad ogni promessa di autentica novità. Tra i primi a Roma a tenere sistematicamente incontri per laici sulla Bibbia, fino allora trattata con molte cautele: giornate di ritiro e di preghiera per i laici, che ne tornavano ricchi di entusiasmo. Tra l’altro papa Giovanni lo incaricò di comunicare a Franco Rodano, fondatore dei “comunisti cattolici”, il permesso di riprendere la comunione nella Messa, fino allora proibita dalla scomunica del luglio 1949.
Grande confessore e direttore spirituale. La sua stanza a via del Seminario – prima sede dei Gesuiti a Roma – vedeva come penitenti personalità di ogni sorta: politici e industriali, vescovi e cardinali, per esempio l’arcivescovo di Parigi, Veuillot, il cardinale Garrone e spesso anche Carlo Maria Martini, allora docente e rettore del Biblico. Ovvio che non fosse estraneo ai vertici della Santa Sede, e anche Paolo VI lo aveva scelto come confessore, e varie volte lo accompagnai in macchina fino a San Pietro. Mai una parola di troppo: sempre nascosto e discreto, saggio, sapiente, colto, delicato, capace di dire il necessario e nulla di più, rispettando sempre la libertà altrui: mai un giudizio pesante se non su mali evidenti… Per finire un ricordo particolare: la sua delicatezza e il suo umile riserbo quotidiano ebbero modo di presentarsi sino alla fine.
Morì il 22 aprile 1972 e al suo funerale in Sant’Ignazio, scavalcando a forza monsignor Cunial, primo vicegerente e suo penitente, volle presiedere monsignor Ugo Poletti, allora secondo vicegerente di Roma, che per tutta la Messa, compresa l’omelia, lo chiamò sempre «il caro padre Roberto». Ma il suo nome era… Renato! Capita: lui avrà sorriso con i suoi occhi affilati e luminosi. Umile anche oltre quella porta! Un esempio per tutti.
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