Non conosco bene, per difetto di passione, frequentazione e studio, il rap e la cultura di cui era originariamente espressione. Ma registro che, come genere musicale, la sua popolarità ha già suggerito svariati incroci con forme di evangelizzazione ed espressioni culturali cristianamente ispirate, rivolte a giovani e giovanissimi. Negli ultimi giorni, ecco i due che la blogosfera ecclesiale mi ha posto davanti agli occhi. "Vatican Insider" ( tinyurl.com/yahvh4bp ) e altre fonti anglofone raccontano che in Kenya, a Migori (non lontano dal lago Vittoria), c'è un sacerdote quarantacinquenne, Paul Ogalo, che usa con ottimi risultati il rap per predicare il Vangelo ai ragazzi della sua parrocchia, tenerli lontani da alcol e droga e piuttosto sensibilizzarli alle questioni sociali e ambientali. All'inizio di giugno, però, il suo vescovo, Philip Anyolo, lo ha sospeso per un anno, censurandone proprio la scelta di utilizzare a fini pastorali forme artistiche così secolari. Chiara Bertoglio riporta sul suo profilo Facebook, con ammirazione, il risultato di un progetto al quale lei stessa ha collaborato come musicista e teologa, in cui il rap serve a far «riscrivere» a dei bambini di una quarta elementare di Verolengo (Torino), a due passi dal Po, il celeberrimo salmo 130 «De profundis» ( tinyurl.com/y8sud5eh ). La musica «moderna» e i testi e disegni dei bambini, accolti «senza correzioni da parte degli adulti», nulla tolgono a una delle preghiere più intense del Salterio, che anzi ci viene restituita da questo rap in tutta la sua ricchezza, comprese (anche qui, come in Kenya) risonanze sociali e ambientali. Non si temono, in questo caso, censure episcopali: il progetto «Riscrittori di Scrittura» di cui Deprofundisrap è un frutto è stato elaborato dall'Ufficio di pastorale della cultura della diocesi di Torino in collaborazione con l'Ufficio di pastorale scolastica.
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