Sarà capitato anche a voi, di avere una musica in testa. Di questi tempi, la colonna sonora dominante è l'inno della Champions League che riempie le tribune, emoziona il popolo degli stadi, eccita i protagonisti. A Napoli, in un momento di crisi, ho suggerito di suonarlo anche fuori ordinanza. Pare che sia piaciuto: un rianimatore gratuito, quasi una iniezione di taurina. Adesso che l'hanno mandato a memoria, i tifosi italiani sognano di poter cantare, a maggio, “We Are The Champions”. Con un'Europa in crisi, in fondo è bello veder gente che si sbraccia, applaude e canta nonostante la depressione economica e mediatica; dopo ogni gol le telecamere - guidate dal marketing - indugiano sulle facciotte di panzerotti e pasionarie così esaltati che sembrano venire dal Paese di Bengodi. Solo quando gioca l'Inter va solo il disco e intorno tutto tace e le facce sono terree, come quella di Moratti che scappa da San Siro, e il popolo par venire dal Paese del Niente e di Nessuno. Li rappresenta degnamente Claudio Ranieri, il cui grigiore finto-Armani mi fa tornare alla mente il ragazzo che vestiva il giallo e il rosso sdacciati del Catanzaro; il Ranieri al quale in un mese ho strappato un solo sorriso: quando gli ho detto che la magnifica striscia di sette vittorie s'è interrotta quando è entrato Snejider. “Analisi perfetta”, ha commentato. E dire che nella stagione del Triplete Wesley era stato il migliore, insieme a Eto'o. Li ricordo sorridenti. Uno è scappato, l'altro è rimasto a rappresentare il malessere di una squadra di eroi stanchi, senza gioco, una squadra che si reggeva sulla modestia e appena ha tentato di giocare qualche asso s'è spenta. Così era a Marsiglia, nello stadio dove storicamente la luce ha difficoltà a splendere. Ma stavolta ci ha messo anche del suo, Ranieri, e non è questione di modulo ma di uomini: non ha cercato di mettere in campo guerrieri, si è fidato di Zarate, pallida creatura ripudiata dai laziali, di Forlan che non è ancora riuscito a entrare nella mentalità del calcio italiano, pensa un po' in quella dell'Inter, e dello stesso Snejider che ha trovato sì e no un paio di colpi egregi. A Ranieri è mancata l'umiltà di proporre un catenaccio serio per cercare il contropiede o di tentare un affondo alla Mourinho, quando il Gran Catenacciaro buttava in campo fino a quattro/cinque punte eppoi la spuntava; no, Ranieri s'è adeguato alle scelte tattiche e ai ritmi di Deschamps che ha studiato da furbo alla scuola di Lippi superando il maestro: l'italiano era lui, alla guida di una squadra modestissima. Quando ha svegliato Ayew il Vecchio, nel finale, si sentiva odore d'inganno. Tre tentativi e c'è riuscito. Gol. Nessun agguato, a Marsiglia. Solo una trappola per polli.
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