La serie Per Elisa - Il caso Claps, da martedì su Rai 1, parte con l’avvertenza che, pur basandosi su una storia vera, «scene, personaggi, nomi, luoghi ed eventi narrati sono stati liberamente rielaborati a fini drammaturgici». Tradotto, anche se può sembrare un’ovvietà, significa che una fiction, per quanto aderente alla realtà dei fatti raccontati, è sempre un’interpretazione soggettiva, spesso non priva di coinvolgimento emotivo. L’altra nota iniziale aggiunge che la serie è realizzata «con la consulenza della famiglia Claps». Il che da una parte offre ulteriore garanzia sull’aderenza ai fatti, almeno da un certo punto di vista, ma dall’altra aumenta l’immedesimazione. Premesso questo ricordiamo che la serie (tre serate con due episodi per volta) racconta il caso di Elisa Claps, la sedicenne di Potenza scomparsa il 12 settembre 1993 dopo un appuntamento davanti alla chiesa con Danilo Restivo, un compagno di scuola con difficoltà psichiche. Il corpo della ragazza verrà ritrovato soltanto 17 anni dopo nel sottotetto della stessa chiesa. Solo allora si indagherà seriamente su Restivo e si capirà quanti depistaggi sono stati effettuati e quante bugie sono state dette. Al proposito non si può che apprezzare l’operazione compiuta dagli autori di Per Elisa (Terry Cafolla, Valerio D’Annunzio e Andrea Valagussa con il regista Marco Pontecorvo) nel raccontare la battaglia per la verità da parte della famiglia Claps e soprattutto da Gildo, il fratello maggiore. Va anche detto, però, che l’indiscutibile scelta di campo, finisce, ovviamente a livello di fiction, per forzare (a parte Daniele Restivo sulla cui responsabilità la serie non lascia dubbi in partenza) sulla negatività quasi diabolica di alcuni personaggi: dal padre di Daniele ai magistrati, fino al parroco il cui ghigno parla da solo ancor prima delle parole poco cristiane che rivolge alla mamma di Elisa.
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