Quando si dice il caso. La seconda stagione della serie tv I topi, girata e soprattutto pensata in tempi non sospetti, è arrivata in video mentre stiamo vivendo un po' come loro, ovvero come Sebastiano Parrini (Antonio Albanese), suo zio Vincenzo (Tony Sperando) e un nugolo di mafiosi che per sfuggire all'arresto si nascondono e di fatto vivono segregati in rifugi sotterranei nelle viscere di una città del Nord Italia, pur essendo tutti loro del Sud. Sebastiano è un latitante dato per morto, mentre Zio Vincenzo è un vecchio padrino che passa il tempo ascoltando Isoradio e le notizie sul traffico sognando di scavare, in questa seconda serie, un tunnel di mille e cinquecento chilometri per trascorrere gli ultimi anni della sua vita nel paese natale in Sicilia, dopo aver fatto scavare, nella prima serie, un cunicolo di centocinquanta chilometri per andare al mare. Il tramite con l'esterno, oltre alla famiglia di Sebastiano (la moglie, i due figli e la zia), è soprattutto l'amico e complice U Stuorto (Nicola Rignanese). La storia, che si ispira ai tanti stratagemmi adottati dai veri boss per garantirsi la latitanza, è raccontata in modo intelligente e ironico attraverso la chiave comica (i soprannomi e le improbabili genealogie sono uno spasso), ma la grettezza e l'idiozia dei vari personaggi non riduce la loro brutalità, il loro non guardare in faccia nessuno e nemmeno il loro folle maschilismo, tema quest'ultimo al centro della nuova stagione in sei episodi (disponibili tutti su RaiPlay), in onda due per volta, dal 18 aprile, il sabato alle 22,00 su Rai 3. Sebastiano accetterà come genero il futuro marito della figlia rimasta incinta solo se nascerà un figlio maschio. Mentre affronta come «problema di livello altamente problematico» il fatto che U Stuorto si riveli omosessuale. Del resto «recitava poesie», «pronunciava parole coordinate» e «mangiava la carne con le posate». Con I topi si ride e ci si diverte, ma i toni grotteschi e paradossali con cui Albanese (autore, regista e interprete) racconta le miserie umane dei suoi ignoranti malavitosi non nascondono il riferimento alla realtà, compreso l'uso strumentale della religione, al limite del blasfemo, da parte della mafia.
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