giovedì 13 gennaio 2022

Un lascito prezioso e sinora segreto dell’ultimo tratto del percorso terreno di Sergio Zavoli sono i suoi 'dialoghi familiari' con la moglie Alessandra, giornalista a sua volta. Da oggi, a cadenza quindicinale, sintesi a tema di queste conversazioni saranno offerte ai lettori di 'Avvenire' grazie ad Alessandra Zavoli.

Dimmi la verità, Sergio: nell’inverno della tua vita è cambiata la consapevolezza dell’esistenza di Dio?

«Vedi, Ale, ogni giorno la fede va conquistata con il dubbio. E la vittoria sul dubbio è la sola affermazione del credere. Mi sono sempre considerato un laico che vive, con qualche goffaggine, alcune umane reticenze e, con una curiosità inestinguibile, l’avventura dello spirito. Io credo di credere. Ora più di prima. Fin da ragazzo mi accompagna l’idea di un pianeta che ci trascina in una vorticosa insondabile perennità. Con il dubbio che viva solo per sé. Ma se tutto avesse per scopo quello di nascere e morire qui, non finirebbero per essere naturali anche gli olocausti delle cui vittime è colmo il solo mondo che si possa sapere abitato dagli uomini? No. La fede è per lenire e per crescere. Non per bruciare e incenerire».

Tu sai, Sergio, che ho sempre creduto in Dio perché le mie radici familiari affondano nella fede cristiana. Sono cresciuta nella certezza che il Creato sia troppo perfetto per poter essere solo il prodotto di imprecisabili alchimie metafisiche. Una eredità che mi fa fermare sulla soglia di mille perché che invece spesso ti lasciano perplesso.

«Hai avuto una gran regalo dai tuoi, Ale. Quasi quasi te lo invidio. Da ragazzo ho studiato dai Salesiani. Frequentavo l’oratorio di Don Bosco, la domenica andavo nella chiesa di Maria Ausiliatrice a Rimini. Ma allora, confesso, era la 'marchina' il biglietto gratis per il cineforum a spingermi. Ricordo però il preciso istante in cui qualcosa cambiò. Un pomeriggio, il riverbero delle candele, i sussurri dei confessionali, l’ostia sulle labbra dei comunicandi di una sacralità che non avevo mai notato, l’odore dell’incenso, avevano prodotto in me uno stordimento, un innamoramento dolce e inatteso.

È stato allora che ho avvertito Qualcosa più grande di tutto. Fu poi il Concilio Vaticano II, un momento chiarificatore per la mia fede. Incontri che hanno rafforzato la mia voglia di credere con uominichiave della Chiesa postconciliare: padre Balducci, grande animatore dei dibattiti dell’epoca; il cardinale Koenig a Vienna, nel crocevia tra credenti e indifferenti. E un campione del protestantesimo liberale, un mistico ogni giorno alle prese con il dolore: Albert Schweitzer».

La morte è parte della vita. Ma per chi ha fede è solo la fine di un primo tempo. Tu lo sai, Sergio, io non ho paura di morire. Mi distruggerebbe solo doverti lasciare. Ma sono certa non finirà qui… «Anche in questo caso, ti invidio. Ti confesso che, dopo tanti anni insieme, mi hai aiutato a tenere viva la mia fiamma di fede. Non voglio arrendermi ai fili invisibili che muovono il mio destino. Si tratta ancora una volta di scegliersi il Padre.

Federico (Fellini, ndr) me lo diceva: 'Il sentimento religioso ci dice che l’uscita è verso l’alto. Ho bisogno di credere. Un bisogno infantile di sentirmi protetto, di essere giudicato benevolmente, capito, e possibilmente perdonato'. Quanto a me Ale, lo sai, sono un ottimista cristiano ed è per questo che penso che su questa terra ci giochiamo tutto. Anche il dopo».

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