Mattina fredda e grigia. Sotto ai platani del viale ancora spogli l'erba è nuova, e il cane tira al guinzaglio. Lascio che mi traini velocemente a casa, giacché questa Milano muta mi fa male al cuore. Tuttavia, nei quattrocento metri che conducono alla vecchia casa di mio padre mi vengono in mente tante cose. Per esempio: che lui, classe 1914, aveva un anno, quando suo padre partì per il fronte. Ne aveva 4 quando in Italia passò la Spagnola, molto più feroce del Covid. Ne aveva 26 quando l'Italia entrò in guerra, e 28 quando partì per il fronte russo. Sopravvisse a tutto, e tornò, lavorò, ebbe figli e nipoti.
Mia madre appena nata, marzo 1915, fece naufragio nella Manica su un traghetto colpito da un U-Boot tedesco. Vide poi la Seconda guerra mondiale come crocerossina sulle navi militari, poi come milioni di altri patì la fame. Si sposò, ebbe tre figli, morì a 90 anni.
Quindi, mi dico tornando verso casa, certamente ce la farete anche voi, ragazzi, che siete alla prima grande prova collettiva. Il vostro problema in realtà siamo noi, padri e madri nati dopo la guerra in un'ampia, rara lanca di pace e relativo benessere. Nutriti, vaccinati, curati, siamo noi, che vi abbiamo trasmesso l'idea che sia scontato vivere senza paura, e sazi, e protetti da ogni sorta di farmaci: siamo noi che abbiamo escluso fame, guerra e malattia dal vostro orizzonte. L'imprevisto riaffacciarsi della morte improvvisa trova noi quasi vecchi, e attoniti. Ma voi, ragazzi, avete addosso la straordinaria forza che è la giovinezza, età che ama le sfide. E forse chi, nella quiete, si annoiava sul web o perdeva tempo, nella battaglia potrebbe ritrovare il senso delle sue giornate. Questa inimmaginabile guerra, potrebbe tirare fuori il meglio di voi. Ce la farete, e voltandovi indietro fra due anni forse vi direte: ma quante cose, prima, non capivo.
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