«Quel che conta è il percorso del viaggio e non l'arrivo». La frase è attribuita al sommo poeta, Premio Nobel per la letteratura, Thomas Stearns Eliot. Quindi va presa sul serio, al pari di tante altre frasi sul viaggio che a volte ci vengono proposte sui social network, subissate di like. Ad esempio: «Io amo viaggiare, ma odio arrivare» (Albert Einstein). «Non andar mai in vacanza con qualcuno che non ami» (Ernest Hemingway). «Il solo viaggio è quello interiore» (Rainer Maria Rilke). Like!
Torniamo a Eliot. Si riferiva certo ai suoi viaggi: artistici, spirituali, iniziatici. Il problema, dall'avvento della civiltà dei consumi e delle vacanze di massa, è che un conto è il Cammino di Santiago, ben altro conto l'autostrada A1, dove senza ombra di dubbio quel che conta è arrivare, in qualche dannatissimo modo ma arrivare sani e salvi, nel corpo e soprattutto nella mente. Il solito pignolo signornò obietterà che da Cernusco sul Naviglio a Riccione si può andare per sconnesse viuzze provinciali e, trovandoli, rugosi tratturi, deviando per abbazie, pievi, pinacoteche, parchi e oasi ecologiche. Concesso. Ci vogliono tre o quattro giorni, ma si può.
E per chi non ha tempo, cultura sopraffina, figlioli pazienti per un pellegrinaggio dalla metropoli al lido? Chi si trova comunque gettato sull'inferno dell'A1? Tutto è già stato detto: la partenza intelligente alle due di notte, per scoprire che centinaia di migliaia di vacanzieri si scoprono intelligenti proprio al momento di partire per la vacanza: le code notturne a Melegnano e le albe sulla tangenziale di Bologna avrebbero bisogno di un Eliot o un Rilke, financo di un Hemingway (non dategli retta, però: non è consigliabile sorseggiare Daiquiri o Gibson sulla tangenziale) che sicuramente vi saprebbero trovare un insegnamento spirituale, un monito morale, una metafora così sottile da svanire soffocata dai tubi di scappamento. O ancora i giochini con cui intrattenere i bambini che già a Melegnano incalzano: «Mamma, papà, manca molto?». O le soste idrauliche agli autogrill, autentici gironi infernali in cui sai da dove entri ma ignori da dove, e se, uscirai, senza aver comprato nulla.
Nel viaggio vacanziero è racchiuso il senso dell'intera vacanza, e della vita stessa. È il conflitto infinito e senza requie tra voi, che viaggiate sereni, rassegnati in coda semovente, e chi vi piomba a 180 orari alle spalle e si incolla a venti centimetri dal didietro. Lo guardate nello specchietto e avete il profilo di quello spicchio d'Italia che rende peggiori loro stessi, noi e l'intero Paese: sguardo cattivo, oppure indifferente. Occhio socchiuso. Nessun pensiero, solo azione. Pensiero: non è che sto mettendo ansia nel poveraccio davanti a me, che procede incolonnato su tre file e non può spostarsi? Non è che creo false aspettative in me stesso, che se anche sorpasso, dove cavolo penso di andare? Fare pressione, creare ansia, generare stress è la loro cifra. Fanno lo stesso in famiglia, sul lavoro e quindi anche in strada. Non hanno alcuno scopo, ma solo un impellente bisogno che sgorga dall'angolo oscuro della loro povera anima: affermarsi, dire «io ci sono», e sono potente, forte e cattivo.
Noi, poveri buonisti, abbiamo scarsi strumenti rieducativi e dissuasivi. C'è chi accende il faro rosso posteriore antinebbia: nulla. Chi le doppie frecce: zero. Siamo disarmati, ci tocca subire e sognare: ah, avessimo l'Aston Martin di James Bond con chiodi a quattro punte, fumogeni e olio... L'articolo 149 del Codice della strada punisce con una sanzione massima di 173 euro chi non rispetta la distanza di sicurezza. Per un commento adeguato ci vorrebbe Hemingway. Al quinto Daiquiri.
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