Caro Avvenire,
avendo in mente i leader politici dei miei tempi (De Gasperi, Fanfani, Segni, Berlinguer e anche persone più libere nel linguaggio come Craxi o De Michelis), l’atteggiamento e le parole della presidente del Consiglio Giorgia Meloni fanno riflettere. Inserire il gergo romanesco («chi se ne…», «str…», ecc.) nella comunicazione fa il paio con le corna e le barzellette di Berlusconi. È un modo (studiato?) per fare arrivare il messaggio a chi non partecipa alla vita politica. Non sono, a mio avviso, piccole cose senza conseguenze.
Giuliano Marrocco
Caro Marrocco,
Niccolò Machiavelli, uno dei padri della politica moderna, tornato a casa la sera, come racconta nella lettera a Francesco Vettori, si spogliava della «veste cotidiana, piena di fango e di loto» e, prima di mettersi allo scrittoio, indossava «panni reali e curiali», gli unici degni del colloquio che intavolava con i classici del passato e dell’imperitura opera cui si accingeva. Reminiscenze accademiche che oggi probabilmente non suscitano né curiosità né ammirazione. Matteo Renzi andò in tv con il “chiodo”, l’informale giubbotto giovanile di pelle. Silvio Berlusconi adattava l’abbigliamento alle circostanze, ma ricevette in Sardegna il premier britannico Tony Blair con la bandana sulla testa.
Siamo in un’epoca in cui l’autorità non ama più presentarsi con linguaggi, forme e ritualità solenni o compunti, risalenti a una tradizione di lunga durata. Sarà l’effetto dei mass media e della rivoluzione del Sessantotto, di una democratizzazione effettiva e della caduta di tante barriere sociali... Incontrando un senatore che non conoscevo, mi sono presentato con una certa rispettosa deferenza: subito mi ha proposto di dargli del tu. Non è detto che sia un male. Le forme sono sostanza, ma non sempre. Durante Tangentopoli, un eletto ormai caduto nel dimenticatoio, subito dopo un alato comizio sul sacrificio di Giacomo Matteotti fu fermato con l’accusa di corruzione per una busta che aveva in tasca. Le Tribune politiche erano noiose per il format. Ma i contenuti c’erano. Ora l’approccio colloquiale (ed è dire poco) rappresenta spesso una posa, come suggerisce lei, caro Marrocco, per cercare di catturare l’attenzione e suscitare la partecipazione che sono in caduta libera e si spostano rapidamente in funzione di messaggi accattivanti o, peggio, urlati.
Quando però si accelera sulla linea sottile del populismo buono, ovvero rivolto alla comprensione anche dei meno istruiti e avvantaggiati, il rischio dello scivolone diventa molto alto. E, soprattutto, penso io (forse un po’ passatista), si abbassa pericolosamente la soglia del buon gusto e del rispetto reciproco. Unendo le parolacce di Beppe Grillo (M5S), del governatore della Campania De Luca (Pd) e della premier Meloni (Fdi) - per citare solo qualche caso noto e recente - non compiamo un progresso che accomuna tutti i partiti in Parlamento. D’altra parte, i politici di oggi dovrebbero ricordare la grandissima autorevolezza internazionale di De Gasperi e l’enorme affetto popolare che circondava Berlinguer. Per conquistarseli, entrambi non ebbero bisogno di tirare fuori la camicia dai pantaloni, alzare la voce o ricorrere a volgarità. Sono cambiati i tempi, può obiettare qualcuno. Vero: non sarà una scurrilità a turbarci o a mutare la valutazione sulle scelte di un nostro rappresentante nelle istituzioni. Eppure, l’impressione di qualcosa di stonato rimane.