sabato 1 dicembre 2012
Ripenso ai camminatori, ai cercatori solitari, e riprendendo in mano i libri di Robert Walser: amato da alcuni suoi contemporanei, come Kafka, Musil e Benjamin, quindi quasi sconosciuto per decenni, poi scoperto e subito rientrato in una luminosa ombra. Il nostro tempo corre, travolge, e la memoria non riesce a tener testa. Nemmeno le urla riescono più a farsi ascoltare (soprattutto quelle), e invece le pagine di Walser, ogni volta che le avviciniamo, svettano su qualsiasi rumore di fondo. «Se scrittori come Walser appartenessero agli "spiriti guida"» ha scritto Hermann Hesse, «non ci sarebbe più guerra. Se Walser avesse centomila lettori, il mondo sarebbe migliore». Oggi di suoi lettori ne esiste un buon numero, ma la voce di Walser, che somiglia tanto al suo passo elastico, con la svagatezza di chi ha compreso troppo e vuole celare quello che conosce, dovrebbe essere più ascoltata. Intanto accogliamo questo suo augurio, dalla Lettera di un pittore a un amico poeta: «Lascia che ti abbracci e stammi bene… abbiamo bisogno di pazienza, coraggio, forza, tenacia. Ti mando una ventina o trentina di auguri di buona salute, non soffrire di mal di denti, tieniti sempre provvisto di un po' di soldi e scrivimi una lettera tanto lunga che mi ci voglia tutta una notte per leggerla».
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